«Il rilancio del modello
inceneritori/discariche, ci conferma che il sistema criminogeno, che
condanna alla marginalità la nostra Isola, è saldamente al comando
di una “nave senza nocchiero” e si dirige verso gli
inceneritori».
È la denuncia del professor Aurelio
Angelini (docente di Sociologia dell'Ambiente all’Università degli
studi di Palermo ed esperto nelle politiche di gestione e
pianificazione delle risorse Ambientali, dei Beni Culturali e del
Patrimonio Unesco) della svolta inceneritorista dei governi nazionale
e regionale quale “soluzione finale” alla pluridecennale
malagestione dei rifiuti siciliani.
Il docente palermitano, citando
un’intervista rilasciata dall’assessore regionale ai rifiuti
Vania Contrafatto lo scorso settembre al quotidiano online Live
Sicilia, nella quale l’assessore precisava che
«termovalorizzatori e inceneritori» non sono la stessa cosa in
quanto «il termovalorizzatore produce energia», precisa in un suo
lungo post su un noto social che
«Ad un cittadino poco attento è permesso di incorrere in
questo errore», ma «non a chi è preposto ad assumere decisioni per
l’intera comunità».
«La novella – continua Angelini –
che viene raccontata è sempre la stessa, con lo scopo di imbonire le
comunità che dovranno ospitare questi micidiali impianti, narrando
di mirabolanti prodigi tecnici, di emissioni zero…, che
“termo-valorizzando i rifiuti”, produrranno tanta energia e ...
vivremo felici e contenti.
Si dimentica di raccontare che gli
impianti di incenerimento, che in origine bruciavano i rifiuti tout
court, possono essere realizzati a condizione che non sprechino il
calore prodotto dalla combustione – che deve per legge – essere
trasformato in energia. Da allora è iniziata questa grande
mistificazione».
Nel nostro ordinamento giuridico
l’inceneritore/termovalorizzatore (impianto di trattamento termico
dei rifiuti) è disciplinato dal D.Lgs 133/2005, (decreto di
recepimento della direttiva 2000/76/CE del Parlamento europeo e del
Consiglio, del 4 dicembre 2000) che, all’art, 2 comma 1, lettera
d), così lo definisce: “impianto di incenerimento: qualsiasi
unità e attrezzatura tecnica, fissa o mobile, destinata al
trattamento termico di rifiuti ai fini dello smaltimento, con o senza
recupero del calore prodotto dalla combustione. Sono compresi in
questa definizione l'incenerimento mediante ossidazione dei rifiuti,
nonché altri processi di trattamento termico, quali ad esempio la
pirolisi, la gassificazione ed il processo al plasma, a condizione
che le sostanze risultanti dal trattamento siano successivamente
incenerite…”.
Angelini ricorda, in modo particolare
ai “nostri decisori politici”, come l’Italia abbia recepito con
il d.lgs. 205/2010, le norme europee (direttiva quadro 2008/98/CE)
che stabiliscono una precisa gerarchia per una corretta gestione dei
rifiuti. In particolare l’art. 179, al comma 1, stabilisce le
priorità secondo cui deve essere gestita qualsiasi frazione
merceologica dei rifiuti: prevenzione; preparazione per il
riutilizzo; riciclaggio; recupero di altro tipo, per esempio il
recupero di energia; smaltimento.
Per tali ragioni – sostiene il
docente palermitano – , «non è realizzabile, con le norme
vigenti, utilizzare l’incenerimento come il “sistema” per
gestire i rifiuti».
La norma infatti sancisce la priorità
del recupero di materia rispetto al recupero di energia, affermando
che: “nel rispetto della gerarchia del trattamento dei rifiuti
le misure dirette al recupero dei rifiuti mediante la preparazione
per il riutilizzo, il riciclaggio o ogni altra operazione di recupero
di materia sono adottate con priorità rispetto all’uso dei rifiuti
come fonte di energia”.
Quindi prima viene la prevenzione, la
preparazione per il riutilizzo e il riciclaggio.
Solo in un secondo momento può
avvenire il recupero energetico attraverso impianti di incenerimento
e lo smaltimento in discarica.
L'obiettivo è avvicinarsi a una
società del riciclaggio, cercando da una parte di evitare la
produzione di rifiuti e dall'altra di prevenire e ridurre l'impatto
ambientale di questi ultimi, utilizzandoli invece come risorse.
La direttiva fissa anche dei livelli
minimi di efficienza per gli impianti cosiddetti di recupero
energetico dei rifiuti solidi urbani. Questi impianti di
incenerimento dovranno garantire un'efficienza energetica almeno del
60% (per quelli funzionanti a partire dal 1 gennaio 2009) e del 65%
(per quelli autorizzati dopo il 31 dicembre 2008).
Anche la legge regionale siciliana
9/2010 fa riferimento alla direttiva 2008/98/CE e, per quanto
riguarda gli impianti di incenerimento, stabilisce alla lettera q)
dell’art. 9: “l’esclusione di trattamenti di incenerimento
dei rifiuti solidi urbani che non facciano ricorso a tecnologie atte
a garantire i requisiti di efficienza energetica nei termini fissati
dalla direttiva n. 2008/98/CE del Parlamento europeo e del Consiglio.
I trattamenti di incenerimento devono essere classificati come
operazioni di recupero e non come operazioni di smaltimento”.
Ciò nonostante il governo nazionale ha
previsto la realizzazione di due inceneritori in Sicilia, e il
governo regionale, in sede di conferenza Stato-Regioni, ne ha
addirittura proposti sei.
Tutto ciò «avviene in modo surreale»
per Angelini, «in quanto nel nostro ordinamento giuridico, il
governo della regione e il governo nazionale, non hanno alcuna
competenza per stabilire: il numero di impianti; quali, quanti, dove
realizzarli».
Difatti, la regione con il Piano
regionale dei rifiuti (art.9, L.R 9/2010), “fissa i criteri per
l’individuazione delle aree non idonee alla localizzazione degli
impianti di smaltimento e recupero dei rifiuti e i criteri per
l’individuazione dei luoghi o impianti idonei allo smaltimento,
nonché le condizioni ed i criteri tecnici per la localizzazione
degli impianti di gestione dei rifiuti, escluse le discariche, in
aree destinate ad insediamenti produttivi”.
Dalla lettura di questo passaggio
normativo, per il professor Angelini, «risulta evidente il motivo
del continuo ricorso alle “emergenze” e ai “piani d’emergenza”,
per poter prevedere ciò che la legge non consente e per poter
avocare il potere di decisione sugli impianti, che la legge affida
alle comunità locali.
Il governo nazionale per poter assumere
un ruolo nella realizzazione degli inceneritori, li ha definiti di
interesse strategico per il Paese. La Regione siciliana, a sua volta,
per non rimanere al di fuori di questo promettente business, punta
sulla dichiarazione di “stato d’emergenza”, per poter gestire e
moltiplicare gli impianti e le ceneri da far “respirare” ai
siciliani, che sono già sottoposti ad un inquinamento mortifero: da
Gela a Melilli, da Augusta a Milazzo e nelle grandi aree urbane, a
causa di una mobilità insostenibile e senza un governo.
Tutto ciò avviene in un contesto in
cui la Sicilia è priva – senza giustificazione alcuna – di un
Piano di gestione dei rifiuti, condizione questa, quanto mai
funzionale ai disegni affaristici e mafiosi che ruotano intorno alla
gestione dei rifiuti. La mancanza del Piano, ha permesso e permette
che la gestione dei rifiuti stia saldamente in mano a mafiosi e
affaristi.
Gli impianti di TMB (trattamento
meccanico biologico) realizzati in questi mesi a Palermo e Catania in
base ad un “piano emergenziale” non vigente, perché non ha mai
completato l’iter d’approvazione, non hanno nulla a che vedere
con la raccolta differenziata o con il recupero in qualità di
materia e sono stati tecnicamente “scelti” per produrre CSS/CDR e
“pensati” per costituire un enorme stock di materiale non
riciclabili, utilizzabili solo come combustibile per
inceneritori/cementerei o per metterli in discarica dopo una
dispendiosa lavorazione.
Siamo alla riproposizione del modello
elaborato negli anni passati dal presidente Cuffaro (quattro
inceneritori e tante discariche), che ci ha lasciato in eredità un
sistema criminogeno basato sulle discariche, che ingoia il 90% dei
rifiuti».
«Questo sistema – conclude Angelini
– ha prodotto dai tanti fenomeni corruttivi (molti sono rimasti
oscuri) che sono emersi in questi anni. Per ultimo, la vicenda
dell’autorizzazione abnorme discarica di Motta
Sant'Anastasia/Misterbianco, da cui emerge chiaramente il ruolo
cruciale di Gianfranco Cannova, semplice funzionario, che riusciva ad
operare impunemente all’interno dell’apparato regionale, grazie
ad un groviglio di complicità, incompetenze e coperture politiche.
La gravità della situazione è
rappresentata dal fatto che nessuna bonifica è stata mai fatta in
questi anni, per impedire che questo sistema potesse continuare a
gestire i rifiuti in Sicilia e a proliferare, nonostante denunce,
commissione parlamentari d’inchiesta e tanti buon propositi.
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