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domenica 8 novembre 2015

La denuncia di Angelini: «Inceneritori, tmb, un sistema criminogeno saldamente al potere»

«Il rilancio del modello inceneritori/discariche, ci conferma che il sistema criminogeno, che condanna alla marginalità la nostra Isola, è saldamente al comando di una “nave senza nocchiero” e si dirige verso gli inceneritori».
È la denuncia del professor Aurelio Angelini (docente di Sociologia dell'Ambiente all’Università degli studi di Palermo ed esperto nelle politiche di gestione e pianificazione delle risorse Ambientali, dei Beni Culturali e del Patrimonio Unesco) della svolta inceneritorista dei governi nazionale e regionale quale “soluzione finale” alla pluridecennale malagestione dei rifiuti siciliani.
Il docente palermitano, citando un’intervista rilasciata dall’assessore regionale ai rifiuti Vania Contrafatto lo scorso settembre al quotidiano online Live Sicilia, nella quale l’assessore precisava che «termovalorizzatori e inceneritori» non sono la stessa cosa in quanto «il termovalorizzatore produce energia», precisa in un suo lungo post su un noto social che «Ad un cittadino poco attento è permesso di incorrere in questo errore», ma «non a chi è preposto ad assumere decisioni per l’intera comunità».
«La novella – continua Angelini – che viene raccontata è sempre la stessa, con lo scopo di imbonire le comunità che dovranno ospitare questi micidiali impianti, narrando di mirabolanti prodigi tecnici, di emissioni zero…, che “termo-valorizzando i rifiuti”, produrranno tanta energia e ... vivremo felici e contenti.
Si dimentica di raccontare che gli impianti di incenerimento, che in origine bruciavano i rifiuti tout court, possono essere realizzati a condizione che non sprechino il calore prodotto dalla combustione – che deve per legge – essere trasformato in energia. Da allora è iniziata questa grande mistificazione».
Nel nostro ordinamento giuridico l’inceneritore/termovalorizzatore (impianto di trattamento termico dei rifiuti) è disciplinato dal D.Lgs 133/2005, (decreto di recepimento della direttiva 2000/76/CE del Parlamento europeo e del Consiglio, del 4 dicembre 2000) che, all’art, 2 comma 1, lettera d), così lo definisce: “impianto di incenerimento: qualsiasi unità e attrezzatura tecnica, fissa o mobile, destinata al trattamento termico di rifiuti ai fini dello smaltimento, con o senza recupero del calore prodotto dalla combustione. Sono compresi in questa definizione l'incenerimento mediante ossidazione dei rifiuti, nonché altri processi di trattamento termico, quali ad esempio la pirolisi, la gassificazione ed il processo al plasma, a condizione che le sostanze risultanti dal trattamento siano successivamente incenerite…”.
Angelini ricorda, in modo particolare ai “nostri decisori politici”, come l’Italia abbia recepito con il d.lgs. 205/2010, le norme europee (direttiva quadro 2008/98/CE) che stabiliscono una precisa gerarchia per una corretta gestione dei rifiuti. In particolare l’art. 179, al comma 1, stabilisce le priorità secondo cui deve essere gestita qualsiasi frazione merceologica dei rifiuti: prevenzione; preparazione per il riutilizzo; riciclaggio; recupero di altro tipo, per esempio il recupero di energia; smaltimento.
Per tali ragioni – sostiene il docente palermitano – , «non è realizzabile, con le norme vigenti, utilizzare l’incenerimento come il “sistema” per gestire i rifiuti».
La norma infatti sancisce la priorità del recupero di materia rispetto al recupero di energia, affermando che: “nel rispetto della gerarchia del trattamento dei rifiuti le misure dirette al recupero dei rifiuti mediante la preparazione per il riutilizzo, il riciclaggio o ogni altra operazione di recupero di materia sono adottate con priorità rispetto all’uso dei rifiuti come fonte di energia”.
Quindi prima viene la prevenzione, la preparazione per il riutilizzo e il riciclaggio.
Solo in un secondo momento può avvenire il recupero energetico attraverso impianti di incenerimento e lo smaltimento in discarica.
L'obiettivo è avvicinarsi a una società del riciclaggio, cercando da una parte di evitare la produzione di rifiuti e dall'altra di prevenire e ridurre l'impatto ambientale di questi ultimi, utilizzandoli invece come risorse.
La direttiva fissa anche dei livelli minimi di efficienza per gli impianti cosiddetti di recupero energetico dei rifiuti solidi urbani. Questi impianti di incenerimento dovranno garantire un'efficienza energetica almeno del 60% (per quelli funzionanti a partire dal 1 gennaio 2009) e del 65% (per quelli autorizzati dopo il 31 dicembre 2008).
Anche la legge regionale siciliana 9/2010 fa riferimento alla direttiva 2008/98/CE e, per quanto riguarda gli impianti di incenerimento, stabilisce alla lettera q) dell’art. 9: “l’esclusione di trattamenti di incenerimento dei rifiuti solidi urbani che non facciano ricorso a tecnologie atte a garantire i requisiti di efficienza energetica nei termini fissati dalla direttiva n. 2008/98/CE del Parlamento europeo e del Consiglio. I trattamenti di incenerimento devono essere classificati come operazioni di recupero e non come operazioni di smaltimento”.
Ciò nonostante il governo nazionale ha previsto la realizzazione di due inceneritori in Sicilia, e il governo regionale, in sede di conferenza Stato-Regioni, ne ha addirittura proposti sei.
Tutto ciò «avviene in modo surreale» per Angelini, «in quanto nel nostro ordinamento giuridico, il governo della regione e il governo nazionale, non hanno alcuna competenza per stabilire: il numero di impianti; quali, quanti, dove realizzarli».
Difatti, la regione con il Piano regionale dei rifiuti (art.9, L.R 9/2010), “fissa i criteri per l’individuazione delle aree non idonee alla localizzazione degli impianti di smaltimento e recupero dei rifiuti e i criteri per l’individuazione dei luoghi o impianti idonei allo smaltimento, nonché le condizioni ed i criteri tecnici per la localizzazione degli impianti di gestione dei rifiuti, escluse le discariche, in aree destinate ad insediamenti produttivi”.
Dalla lettura di questo passaggio normativo, per il professor Angelini, «risulta evidente il motivo del continuo ricorso alle “emergenze” e ai “piani d’emergenza”, per poter prevedere ciò che la legge non consente e per poter avocare il potere di decisione sugli impianti, che la legge affida alle comunità locali.
Il governo nazionale per poter assumere un ruolo nella realizzazione degli inceneritori, li ha definiti di interesse strategico per il Paese. La Regione siciliana, a sua volta, per non rimanere al di fuori di questo promettente business, punta sulla dichiarazione di “stato d’emergenza”, per poter gestire e moltiplicare gli impianti e le ceneri da far “respirare” ai siciliani, che sono già sottoposti ad un inquinamento mortifero: da Gela a Melilli, da Augusta a Milazzo e nelle grandi aree urbane, a causa di una mobilità insostenibile e senza un governo.
Tutto ciò avviene in un contesto in cui la Sicilia è priva – senza giustificazione alcuna – di un Piano di gestione dei rifiuti, condizione questa, quanto mai funzionale ai disegni affaristici e mafiosi che ruotano intorno alla gestione dei rifiuti. La mancanza del Piano, ha permesso e permette che la gestione dei rifiuti stia saldamente in mano a mafiosi e affaristi.
Gli impianti di TMB (trattamento meccanico biologico) realizzati in questi mesi a Palermo e Catania in base ad un “piano emergenziale” non vigente, perché non ha mai completato l’iter d’approvazione, non hanno nulla a che vedere con la raccolta differenziata o con il recupero in qualità di materia e sono stati tecnicamente “scelti” per produrre CSS/CDR e “pensati” per costituire un enorme stock di materiale non riciclabili, utilizzabili solo come combustibile per inceneritori/cementerei o per metterli in discarica dopo una dispendiosa lavorazione.
Siamo alla riproposizione del modello elaborato negli anni passati dal presidente Cuffaro (quattro inceneritori e tante discariche), che ci ha lasciato in eredità un sistema criminogeno basato sulle discariche, che ingoia il 90% dei rifiuti».
«Questo sistema – conclude Angelini – ha prodotto dai tanti fenomeni corruttivi (molti sono rimasti oscuri) che sono emersi in questi anni. Per ultimo, la vicenda dell’autorizzazione abnorme discarica di Motta Sant'Anastasia/Misterbianco, da cui emerge chiaramente il ruolo cruciale di Gianfranco Cannova, semplice funzionario, che riusciva ad operare impunemente all’interno dell’apparato regionale, grazie ad un groviglio di complicità, incompetenze e coperture politiche.
La gravità della situazione è rappresentata dal fatto che nessuna bonifica è stata mai fatta in questi anni, per impedire che questo sistema potesse continuare a gestire i rifiuti in Sicilia e a proliferare, nonostante denunce, commissione parlamentari d’inchiesta e tanti buon propositi.  

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