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martedì 24 novembre 2015

Il Tar blocca la demolizione dei manufatti edilizi di contrada Zuppà

Con sentenza del 7 ottobre (02707/2015), ma le motivazioni sono state pubblicate solo venerdì scorso, il Tar di Catania ha accolto i ricorsi di Tirrenoambiente contro il provvedimento dell’Ufficio tecnico del Comune di Mazzarrà Sant’Andrea (ordinanza n. 2 del 19.02.2015) con il quale, “rilevata l’assenza di titolo abilitativo, veniva ingiunta la demolizione ed il ripristino dello stato dei luoghi” di alcuni fabbricati presenti all’interno del sito di contrada Zuppà, e contro il provvedimento del Dipartimento regionale acque e rifiuti dell’Assessorato Regionale dell’Energia e dei Servizi di Pubblica Utilità che revocava i provvedimenti rilasciati con O.C. 618/SRb del 31 maggio 2006 e DDS 341/SRB del 4 dicembre 2009 come modificati dal DDS n. 1174 del 16 luglio 2013 relativi ad un impianto di smaltimento del percolato.
Quali sono i fabbricati in questione che per il momento non verranno quindi demoliti?
Innanzitutto l'impianto di biostabilizzazione, realizzato solo nella parte edilizia – la cui Aia, scaduta nel 2014, non è stata rinnovata dal Dipartimento regionale acque e rifiuti dell’Assessorato Regionale dell’Energia e dei Servizi di Pubblica Utilità il 23 ottobre 2014. Lo stesso Tar di Catania con sentenza n. 01177/2015 dell’8 aprile scorso aveva rigettato il relativo ricorso della società strumentale del comune di Mazzarrà Sant’Andrea perché infondato.
Il provvedimento del comune mazzarrese – ora retto da una commissione prefettizia in seguito al recente scioglimento per mafia – riguardava inoltre un edificio adibito ad impianto di percolato, l’impianto di cogenerazione di recupero di biogas, un manufatto adibito a vasca di accumulo di percolato, un edificio adibito a spogliatoi per personale dipendente, edifici adibiti a magazzini e depositi attrezzi e tre piccole strutture ad una elevazione fuori terra).
Per i giudici amministrativi «nell’ordinanza di demolizione impugnata si afferma “frettolosamente” l’assenza totale di qualsiasi titolo edilizio con riguardo alle opere elencate, mentre viceversa parte ricorrente ha dato atto dell’esistenza di pregressi provvedimenti autorizzatori sui quali l’amministrazione avrebbe semmai prima dovuto, ricorrendone i presupposti, esercitare i poteri di autotutela di revoca o di annullamento d’ufficio (come avvenuto ma solo in via successiva con i provvedimenti oggetto del giudizio di impugnazione riunito recante R.G. 976/2015).
L’amministrazione resistente, viceversa, non solo (dal punto di vista strettamente processuale) si è costituita a tal proposito nell’ambito del giudizio recante R.G. n. 975/2015 con una mera memoria pro forma - diversamente, come si vedrà, relativamente al distinto giudizio, seppur riunito, n. 976/2015 - con la conseguenza che le deduzioni offerte dalla ricorrente devono ritenersi provate anche si sensi dell’art. 74 c.p.a., ma ancor prima, dal punto di vista procedimentale, non ha svolto una completa istruttoria essendosi viceversa limitata ad affermare “visti gli atti d’ufficio, il vigente strumento urbanistico e le norme che disciplinano l’edificazione nelle aree interessate dai lavori”.
In secondo luogo, inoltre, smentisce la motivazione addotta nell’ordinanza di demolizione di “assenza di concessione edilizia” lo stesso operato dell’amministrazione di intervento (solo in via successiva) di revoca in autotutela - mediante decreto del Dirigente Generale del Dipartimento dell'Acqua e dei Rifiuti dell'Assessorato Regionale dell'Energia prot. 19928 del 6 maggio 2015 - dei provvedimenti rilasciati con O.C. 618/SRb del 31 maggio 2006 e DDS 341/SRB del 4 dicembre 2009 come modificati dal DDS n. 1174 del 16 luglio 2013.
Ne consegue, in definitiva, l’illegittimità dell’ordinanza di demolizione impugnata per difetto di istruttoria e, conseguentemente, di motivazione.»
In merito invece all'impianto di trattamento del percolato, l'Assessorato Regionale dell'Energia e dei Servizi di Pubblica Utilità, aveva dapprima disposto la diffida all’utilizzo degli impianti (8077 del 23.02.2015), successivamente con decreto emesso dal Dirigente Generale del Dipartimento dell'Acqua e dei Rifiuti dell'Assessorato Regionale dell'Energia (prot. 19928 del 6 maggio 2015) aveva revocato i provvedimenti rilasciati con O.C. 618/SRb del 31 maggio 2006 e DDS 341/SRB del 4 dicembre 2009 come modificati dal DDS n. 1174 del 16 luglio 2013.
Per il Tar «deve rilevarsi che il suddetto provvedimento di revoca deve ritenersi illegittimo per difetto di motivazione.
Sul punto risultano pienamente condivisibili, infatti, le ragioni addotte dalla società ricorrente per le quali l’impianto motivazionale del provvedimento di revoca risulta, in realtà, assolutamente ridotto e scarno rispetto a quanto invece contestato in prima battuta con il provvedimento di diffida.
Ed infatti, l’impianto motivazione del provvedimento di revoca si fonda esclusivamente : 1) su un richiamo assolutamente generico alle conclusioni raggiunte nella relazione redatta dalla Commissione ispettiva ; 2) alla necessità di una valutazione ambientale cumulativa degli impianti in quanto “insistono più impianti con differenti autorizzazioni” mentre “il provvedimento di autorizzazione di un impianto connesso alla discarica deve necessariamente essere sottoposto ad un’unica valutazione ambientale cumulativa”, il che, seppur astrattamente condivisibile, non può tuttavia costituire di per sé ragione sufficiente a fondare la revoca dei precedenti provvedimenti autorizzatori emessi perché trattasi, effettivamente, di approccio troppo formale alla vicenda in esame; 3) alla asserita mancanza del certificato di agibilità, circostanza che viceversa è stata smentita puntualmente dalla società ricorrente tenuto conto che sull’istanza per il rilascio del predetto certificato si era già formato il silenzio assenso per decorso del termine previsto dall'art. 25 del D.lgs 380/2001. Ed infatti dagli atti del giudizio è risultato, da un lato, che con nota 301/2014 del 19.02.2014, acquisita al protocollo comunale del 21.02.2014 al n. 6416, l’amministratore delegato della società ricorrente aveva richiesto il rilascio del certificato di agibilità, facendo espressamente presente che l'autorizzazione rilasciata ai sensi dell'art. 208 del D.Lgs. 152/06 avrebbe sostituito ad ogni effetto visti, pareri, autorizzazioni e concessioni di organi regionali, provinciali e comunali; dall’altro, che è trascorso inutilmente il termine dei trenta giorni previsto dal citato art. 25 sulla predetta istanza, tant’è che con nota n. 381/2014 del 02/04/2014, indirizzata al "Servizio 7 — Autorizzazioni" del Dipartimento Regionale Acqua e Rifiuti — Assessorato Regionale dell'Energia, e dei Servizi di Pubblica Utilità, la società ricorrente aveva comunicato che l'agibilità si intendeva attestata in quanto, a seguito di sopralluogo dell'A.S.T. di Messina, Servizio Prevenzione per la Salute-Dipartimento di Igiene Pubblica, svoltosi in data 07/11/2013, quest’ultimo, con nota prot. 5663 del 25.11.2013, aveva rilasciato parere favorevole. Circostanza che il Comune di Mazzarrà S. Andrea non ha smentito né in via procedimentale, né in via processuale ai sensi dell’ art. 64 c.p.a.
Con riferimento specifico a tale ultimo elemento, infatti, occorre rilevare che il contenuto della memoria di costituzione depositata in data 6.6.2015 dall’amministrazione resistente nell’ambito del presente giudizio (R.G. n. 976/2015) rinvia, infatti, alle circostanze originariamente contestate nel provvedimento di diffida e, tuttavia, non trasposte – a seguito di contraddittorio procedimentale – nel provvedimento conclusivo di revoca, per cui da considerare in parte qua inevitabilmente superate.
In sintesi, non può non rilevarsi che l’atto di revoca impugnato è risultato affetto da vizio di motivazione atteso che l’aver circoscritto in sede di revoca gli elementi motivazionali rispetto a quelli in precedenza contestati in sede di revoca ha comportato, da un lato, la rinuncia alle contestazioni non riproposte in sede finale di revoca (considerati come detto gli effetti solo interinali e strumentale della diffida, in quanto atto procedimentale di natura solo cautelare ex art. 7, comma 2, della legge n. 241/1990 nonché ex art. 8 della legge regionale n. 10/1991); dall’altro, l’assoluta inconsistenza a valle delle motivazioni poste a fondamento dell’esercizio del potere di autotutela amministrativa.
Ciò tenuto conto altresì, in primo luogo, che nel provvedimento impugnato ci si è limitati, in palese violazione dell’art. 10 bis della legge n. 241/1990 e dell’art 11 della legge regionale n. 10/1991 , ad affermare che le osservazioni presentate in via procedimentale dalla ricorrente non avrebbero apportato alcun contenuto atto a superare le criticità contestate (punto motivazionale, tra l’altro, non solo generico ma infondato tenuto conto che, come detto, gran parte delle contestazioni sollevate in sede di diffida sono state ritirate al momento finale di adozione del provvedimento di revoca).
In secondo luogo, che i provvedimenti di autotutela devono viceversa dare puntualmente conto, in sede di motivazione, dell’interesse pubblico al “ritiro”, interesse avente natura distinta – come è noto .- rispetto al mero ripristino della legalità, nonché delle mere ragioni di opportunità e della comparazione degli interessi coinvolti, il tutto senza trascurare l’elemento del tempo trascorso.
In definitiva, la carenza motivazionale del provvedimento di revoca comporta l’illegittimità dello stesso e, conseguentemente, l’accoglimento del primo ricorso per motivi aggiunti.»

Respinto invece il ricorso aggiuntivo con cui Tirrenoambiente chiedeva un indennizzo a carico delle amministrazioni resistenti in giudizio (Comune di Mazzarrà Sant'Andrea; Provincia Regionale di Messina, ora denominata Libero Consorzio Comunale; Comune di Furnari; Assessorato Regionale dell'Energia e dei Servizi di Pubblica Utilità nonché Assessorato Regionale Territorio e Ambiente). Condannate però in solido al pagamento delle spese di lite in favore della società ricorrente di 3.000,00 in base al principio della soccombenza.

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