Con sentenza del 7 ottobre (02707/2015),
ma le motivazioni sono state pubblicate solo venerdì scorso, il Tar
di Catania ha accolto i ricorsi di Tirrenoambiente contro il
provvedimento dell’Ufficio tecnico del Comune di Mazzarrà
Sant’Andrea (ordinanza n. 2 del 19.02.2015) con il quale, “rilevata
l’assenza di titolo abilitativo, veniva ingiunta la demolizione ed
il ripristino dello stato dei luoghi” di alcuni fabbricati presenti
all’interno del sito di contrada Zuppà, e contro il provvedimento
del Dipartimento regionale acque e rifiuti dell’Assessorato
Regionale dell’Energia e dei Servizi di Pubblica Utilità che revocava i provvedimenti rilasciati con O.C. 618/SRb del 31 maggio 2006 e DDS 341/SRB del 4 dicembre 2009 come modificati dal DDS n. 1174 del 16 luglio 2013 relativi ad un impianto di smaltimento del percolato.
Quali sono i fabbricati in questione
che per il momento non verranno quindi demoliti?
Innanzitutto l'impianto di
biostabilizzazione, realizzato solo nella parte edilizia – la
cui Aia, scaduta nel 2014, non è stata rinnovata dal Dipartimento
regionale acque e rifiuti dell’Assessorato Regionale dell’Energia
e dei Servizi di Pubblica Utilità il 23 ottobre 2014. Lo stesso Tar
di Catania con sentenza n. 01177/2015
dell’8 aprile scorso aveva rigettato il relativo ricorso della
società strumentale del comune di Mazzarrà Sant’Andrea perché
infondato.
Il provvedimento del comune mazzarrese
– ora retto da una commissione prefettizia in seguito al recente
scioglimento per mafia – riguardava inoltre un edificio adibito ad impianto
di percolato, l’impianto di cogenerazione di recupero di biogas, un
manufatto adibito a vasca di accumulo di percolato, un edificio
adibito a spogliatoi per personale dipendente, edifici adibiti a
magazzini e depositi attrezzi e tre piccole strutture ad una
elevazione fuori terra).
Per i giudici amministrativi
«nell’ordinanza di demolizione impugnata si afferma
“frettolosamente” l’assenza totale di qualsiasi titolo edilizio
con riguardo alle opere elencate, mentre viceversa parte ricorrente
ha dato atto dell’esistenza di pregressi provvedimenti
autorizzatori sui quali l’amministrazione avrebbe semmai prima
dovuto, ricorrendone i presupposti, esercitare i poteri di autotutela
di revoca o di annullamento d’ufficio (come avvenuto ma solo in via
successiva con i provvedimenti oggetto del giudizio di impugnazione
riunito recante R.G. 976/2015).
L’amministrazione resistente,
viceversa, non solo (dal punto di vista strettamente processuale) si
è costituita a tal proposito nell’ambito del giudizio recante R.G.
n. 975/2015 con una mera memoria pro forma - diversamente, come si
vedrà, relativamente al distinto giudizio, seppur riunito, n.
976/2015 - con la conseguenza che le deduzioni offerte dalla
ricorrente devono ritenersi provate anche si sensi dell’art. 74
c.p.a., ma ancor prima, dal punto di vista procedimentale, non ha
svolto una completa istruttoria essendosi viceversa limitata ad
affermare “visti gli atti d’ufficio, il vigente strumento
urbanistico e le norme che disciplinano l’edificazione nelle aree
interessate dai lavori”.
In secondo luogo, inoltre, smentisce
la motivazione addotta nell’ordinanza di demolizione di “assenza
di concessione edilizia” lo stesso operato dell’amministrazione
di intervento (solo in via successiva) di revoca in autotutela -
mediante decreto del Dirigente Generale del Dipartimento dell'Acqua e
dei Rifiuti dell'Assessorato Regionale dell'Energia prot. 19928 del 6
maggio 2015 - dei provvedimenti rilasciati con O.C. 618/SRb del 31
maggio 2006 e DDS 341/SRB del 4 dicembre 2009 come modificati dal DDS
n. 1174 del 16 luglio 2013.
Ne consegue, in definitiva,
l’illegittimità dell’ordinanza di demolizione impugnata per
difetto di istruttoria e, conseguentemente, di motivazione.»
In merito invece all'impianto di
trattamento del percolato, l'Assessorato
Regionale dell'Energia e dei Servizi di Pubblica Utilità, aveva
dapprima disposto la diffida all’utilizzo degli impianti (8077 del
23.02.2015), successivamente con decreto emesso dal Dirigente
Generale del Dipartimento dell'Acqua e dei Rifiuti dell'Assessorato
Regionale dell'Energia (prot. 19928 del 6 maggio 2015) aveva revocato
i provvedimenti rilasciati con O.C. 618/SRb del 31 maggio 2006 e DDS
341/SRB del 4 dicembre 2009 come modificati dal DDS n. 1174 del 16
luglio 2013.
Per
il Tar «deve rilevarsi
che il suddetto provvedimento di revoca deve ritenersi illegittimo
per difetto di motivazione.
Sul
punto risultano pienamente condivisibili, infatti, le ragioni addotte
dalla società ricorrente per le quali l’impianto motivazionale del
provvedimento di revoca risulta, in realtà, assolutamente ridotto e
scarno rispetto a quanto invece contestato in prima battuta con il
provvedimento di diffida.
Ed
infatti, l’impianto motivazione del provvedimento di revoca si
fonda esclusivamente : 1) su un richiamo assolutamente generico alle
conclusioni raggiunte nella relazione redatta dalla Commissione
ispettiva ; 2) alla necessità di una valutazione ambientale
cumulativa degli impianti in quanto “insistono più impianti con
differenti autorizzazioni” mentre “il provvedimento di
autorizzazione di un impianto connesso alla discarica deve
necessariamente essere sottoposto ad un’unica valutazione
ambientale cumulativa”, il che, seppur astrattamente condivisibile,
non può tuttavia costituire di per sé ragione sufficiente a fondare
la revoca dei precedenti provvedimenti autorizzatori emessi perché
trattasi, effettivamente, di approccio troppo formale alla vicenda in
esame; 3) alla asserita mancanza del certificato di agibilità,
circostanza che viceversa è stata smentita puntualmente dalla
società ricorrente tenuto conto che sull’istanza per il rilascio
del predetto certificato si era già formato il silenzio assenso per
decorso del termine previsto dall'art. 25 del D.lgs 380/2001. Ed
infatti dagli atti del giudizio è risultato, da un lato, che con
nota 301/2014 del 19.02.2014, acquisita al protocollo comunale del
21.02.2014 al n. 6416, l’amministratore delegato della società
ricorrente aveva richiesto il rilascio del certificato di agibilità,
facendo espressamente presente che l'autorizzazione rilasciata ai
sensi dell'art. 208 del D.Lgs. 152/06 avrebbe sostituito ad ogni
effetto visti, pareri, autorizzazioni e concessioni di organi
regionali, provinciali e comunali; dall’altro, che è trascorso
inutilmente il termine dei trenta giorni previsto dal citato art. 25
sulla predetta istanza, tant’è che con nota n. 381/2014 del
02/04/2014, indirizzata al "Servizio 7 — Autorizzazioni"
del Dipartimento Regionale Acqua e Rifiuti — Assessorato Regionale
dell'Energia, e dei Servizi di Pubblica Utilità, la società
ricorrente aveva comunicato che l'agibilità si intendeva attestata
in quanto, a seguito di sopralluogo dell'A.S.T. di Messina, Servizio
Prevenzione per la Salute-Dipartimento di Igiene Pubblica, svoltosi
in data 07/11/2013, quest’ultimo, con nota prot. 5663 del
25.11.2013, aveva rilasciato parere favorevole. Circostanza che il
Comune di Mazzarrà S. Andrea non ha smentito né in via
procedimentale, né in via processuale ai sensi dell’ art. 64
c.p.a.
Con
riferimento specifico a tale ultimo elemento, infatti, occorre
rilevare che il contenuto della memoria di costituzione depositata in
data 6.6.2015 dall’amministrazione resistente nell’ambito del
presente giudizio (R.G. n. 976/2015) rinvia, infatti, alle
circostanze originariamente contestate nel provvedimento di diffida
e, tuttavia, non trasposte – a seguito di contraddittorio
procedimentale – nel provvedimento conclusivo di revoca, per cui da
considerare in parte qua inevitabilmente superate.
In
sintesi, non può non rilevarsi che l’atto di revoca impugnato è
risultato affetto da vizio di motivazione atteso che l’aver
circoscritto in sede di revoca gli elementi motivazionali rispetto a
quelli in precedenza contestati in sede di revoca ha comportato, da
un lato, la rinuncia alle contestazioni non riproposte in sede finale
di revoca (considerati come detto gli effetti solo interinali e
strumentale della diffida, in quanto atto procedimentale di natura
solo cautelare ex art. 7, comma 2, della legge n. 241/1990 nonché ex
art. 8 della legge regionale n. 10/1991); dall’altro, l’assoluta
inconsistenza a valle delle motivazioni poste a fondamento
dell’esercizio del potere di autotutela amministrativa.
Ciò
tenuto conto altresì, in primo luogo, che nel provvedimento
impugnato ci si è limitati, in palese violazione dell’art. 10 bis
della legge n. 241/1990 e dell’art 11 della legge regionale n.
10/1991 , ad affermare che le osservazioni presentate in via
procedimentale dalla ricorrente non avrebbero apportato alcun
contenuto atto a superare le criticità contestate (punto
motivazionale, tra l’altro, non solo generico ma infondato tenuto
conto che, come detto, gran parte delle contestazioni sollevate in
sede di diffida sono state ritirate al momento finale di adozione del
provvedimento di revoca).
In
secondo luogo, che i provvedimenti di autotutela devono viceversa
dare puntualmente conto, in sede di motivazione, dell’interesse
pubblico al “ritiro”, interesse avente natura distinta – come è
noto .- rispetto al mero ripristino della legalità, nonché delle
mere ragioni di opportunità e della comparazione degli interessi
coinvolti, il tutto senza trascurare l’elemento del tempo
trascorso.
In
definitiva, la carenza motivazionale del provvedimento di revoca
comporta l’illegittimità dello stesso e, conseguentemente,
l’accoglimento del primo ricorso per motivi aggiunti.»
Respinto invece il ricorso aggiuntivo
con cui Tirrenoambiente chiedeva un indennizzo a carico delle
amministrazioni resistenti in giudizio (Comune di Mazzarrà
Sant'Andrea; Provincia Regionale di Messina, ora denominata Libero
Consorzio Comunale; Comune di Furnari; Assessorato Regionale
dell'Energia e dei Servizi di Pubblica Utilità nonché Assessorato
Regionale Territorio e Ambiente). Condannate però in solido al
pagamento delle spese di lite in favore della società ricorrente di
3.000,00 in base al principio della soccombenza.
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