Una società messinese, la Comet Bio
s.r.l., ha intenzione di costruire in contrada Marraffino di Furnari
un impianto di produzione di energia elettrica alimentato a biomasse.
La parola bio non deve trarre in
inganno, si tratta di un impianto dove potrebbero essere bruciati
rifiuti urbani, senza i limiti previsti dalla legge per gli
inceneritori “ufficiali”, e le cui emissioni sono caratterizzate,
secondo una corposa letteratura scientifica, dalla presenza di
numerosi composti cancerogeni riconosciuti pericolosi per la salute
umana: benzene, idrocarburi policiclici aromatici, polveri sottili e
ultrasottili, diossine e via discorrendo.
Perché la Comet vuole realizzare
quest’impianto? Semplice, per gli ingenti incentivi dati a questa
produzione, con il meccanismo dei certificati verdi.
Ancora una volta l’odore dei soldi
sta cercando di imporsi sul diritto alla salute delle popolazioni.
È già successo, non dimentichiamolo,
con la discarica di Mazzarrà!
Non possiamo permettere che succeda
ancora, per questo è importante che la popolazione venga informata
dei rischi a cui potrebbe andare incontro qualora, scelleratamente,
le istituzioni dovessero autorizzare la costruzione e l’esercizio
di questo impianto.
Il dottord Federico Valerio
dell’Istituto Nazionale Ricerca Cancro di Genova ha illustrato in
modo esaustivo quali siano le problematiche ambientali e sanitarie
derivanti dall'uso di biomasse quali fonti di energia.
Questo fatto è sicuramente legato al
crescente interesse nell'uso di biomasse a scopo energetico,
tradizionale nei paesi in via di sviluppo, ma in rapida crescita
anche in paesi sviluppati (Svezia, Canada, Australia..)
prevalentemente a causa dei costi più bassi, rispetto ai
combustibili fossili. Pertanto gli studi più recenti riguardano
l'impatto ambientale e sanitario derivante dall'uso energetico di
biomasse in paesi sviluppati, dove le biomasse sono utilizzate sia
per il riscaldamento domestico che per la produzione di energia
elettrica e calore in impianti dedicati.
La maggior parte di questi studi
riguardano la Svezia, a causa della sua grande produzione di legname
e del diffuso uso a scopi energetici degli scarti di questa attività.
Ad esempio, lo studio condotto da P.
Molnar [1] ha evidenziato che le famiglie svedesi che utilizzavano
legna per il loro riscaldamento domestico avevano una maggiore
esposizione personale a zinco, rame, piombo e manganese. Questo
autore concludeva la necessità di studi più approfonditi per
valutare l'effetto del fumo da legna sullo stato di salute della
popolazione generale.
Altri studi condotti su popolazioni
esposte alle emissioni da combustione di biomasse in paesi avanzati
evidenziavano effetti sull'asma e sulla funzionalità respiratoria
[2]
Un altro studio condotto in Svezia a
firma di P. Gustafson [3] segnala che le famiglie svedesi che
utilizzano legna, rispetto ai controlli, hanno una maggiore
esposizione a benzene e 1-3 butadiene. Si tratta di due
potenti cancerogeni riconosciuti pericolosi per la salute umana che
caratterizzano le emissioni derivanti dalla combustione di biomasse.
In base ai valori di esposizione l'autore giudica basso il rischio di
cancro degli esposti, ma indubbiamente si tratta di una esposizione
non desiderabile e certamente evitabile se si utilizzano altri
combustibili.
Uno studio condotto in Canada [4]
evidenzia nelle donne di Montreal esposte ai prodotti di combustione
di carbone e legna utilizzati a scopo domestico un significativo
aumento di tumore polmonare che suggerisce, ancora una volta la
necessità di chiarire il ruolo delle emissioni da combustione di
biomasse nell'induzione di questa malattia.
Peraltro, nostri studi condotti in
Italia, nell'ambito dell'attività di ricerca dell'Istituto Nazionale
Ricerca sul cancro di Genova, hanno evidenziato come, in due paesi
appenninici dove l'uso della legna da ardere nelle stufe è diffuso,
le concentrazioni di benzo(a)pirene nelle abitazioni che utilizzavano
legna era tendenzialmente maggiore di quelle trovate in case che
usavano il metano o il GPL come combustibile. Analoghi risultati sono
stati ottenuti in abitazioni russe riscaldate a legna [5]. E il
benzo(a)pirene e altri idrocarburi policiclici aromatici sono
composti cancerogeni che notoriamente si producono
durante le combustioni di biomasse.
Misure condotte in trenta abitazioni
austriache riscaldate al legna hanno riscontrato anche la presenza di
diossine nei fumi emessi [6].
Tutti questi studi, effettuati su
impianti di riscaldamento a legna ad uso domestico, evidenziano un
problema generale delle biomasse: la loro combustione produce,
inevitabilmente, numerosi composti tossici e grandi quantità di
polveri fini ed ultrafini.
La combustione di legna e altre
biomasse solide in impianti industriali ad alta efficienza termica e
con adeguati trattamenti dei fumi riduce queste emissioni, ma non le
annulla.
Impianti termoelettrici a biomasse
Nel nostro Paese l'uso di biomasse
per la produzione di elettricità è in forte espansione per gli
ingenti incentivi dati a questa produzione, con il meccanismo dei
certificati verdi.
Motivo dell'incentivo, l'essere state
incluse le biomasse tra le fonti energetiche rinnovabili ed una
presunta riduzione delle emissioni di gas serra, se queste sono usate
come combustibile.
In linea di principio, l'uso energetico
di biomasse ha un effetto neutro sulle emissioni di gas serra in
quanto con la combustione si ri-immette in atmosfera anidride
carbonica che durante la crescita le piante avevano assorbito
dall'atmosfera e fissato sotto forma di cellulosa e altri composti
organici (lignina, amidi, zuccheri…) nei loro tessuti, ma il
meccanismo dei certificati verdi, induce una pesante distorsione nel
mercato con effetti contraddittori, rispetto all'obiettivo
prefissato.
I certificati verdi incentivano la
produzione di elettricità dall'uso di biomasse, mentre non ci sono
incentivi per i soli usi termici della legna (riscaldamento domestico
ed industriale) e per il compostaggio delle biomasse
ligno-cellulosiche, nonostante il fatto che queste due tecniche, in
particolare il compostaggio, comportino una maggiore riduzione delle
emissioni di gas serra, a parità di biomassa utilizzata.
I dubbi che impianti termoelettrici
alimentati a biomasse ottengano effettivamente il risultato di una
riduzione delle emissioni di gas serra sono legittimi, specialmente
quando, comne spesso avviene, nelle specifiche del progetto manchi un
serio bilancio dei gas serra prodotti ed evitati.
I bilanci di gas serra
A nostro avviso un progetto della
centrale a biomasse, dovrebbe presentare una attenta analisi dei
cicli di vita dell'impianto, con riferimento al bilancio dei gas
serra, effettuato secondo consolidate procedure [7, 8]: emissioni di
gas serra nelle fasi di coltivazione, raccolta e trasporto delle
biomasse all'impianto; durante l'uso di combustibili fossili
(metano?) previsti nelle fasi di avvio delle caldaie; nel
pretrattamento e trasporto delle ceneri alla loro destinazione
finale; nella costruzione e nello smaltimento dell'impianto e durante
la bonifica dell'area, alla fine dell' esercizio dell'impianto.
Nel bilancio dei gas serra correlato
alla attività della centrale, dovrebbe essere anche conteggiato il
carbonio presente nei residui delle attività agricole e non più
interrato, secondo consolidate pratiche agronomiche (sovescio) atte a
mantenere un adeguato e costante contenuto di humus (di carbonio) nel
terreno agricolo. A favore della realizzazione dell'impianto,
ovviamente, bisognerebbe conteggiare i gas serra risparmiati per
evitato utilizzo di combustibili fossili per produrre elettricità,
in base ai mix di fonti rinnovabili e non rinnovabili utilizzati in
Italia per produrre energia elettrica.
Occorre comunque sottolineare che
l'assenza di forme di teleriscaldamento e di utilizzo del calore
residuo alla produzione di elettricità, in alcuni progetti di
impianti a biomasse fanno presumere, per questo particolare uso delle
biomasse, rendimenti energetici (elettricità + calore) molto bassi.
Il calcolo dell'energia utilizzata per
la produzione, la raccolta e il trasporto delle biomasse
all'impianto, dell'energia necessaria per trasportare le ceneri alla
loro destinazione finale e per provvedere al loro eventuale
smaltimento e per la dismissione finale, abbassa ulteriormente la
stima dell'efficienza energetica di un impianto di produzione di
elettricità alimentato a biomasse.
Impatto ambientale
A fronte di un legittimo dubbio sul
reale beneficio che l'entrata in esercizio di impiant a biomasse
comporterebbero sulle sorti climatiche del Pianeta, gli studi
sugli impatti ambientali indotti dalla combustione di biomasse in
impianti industriali per la produzione di elettricità inducono
grande cautela.
A nostro avviso, non bisogna trascurare
il fatto che le biomasse che saranno usate come combustibile,
anche dopo depurazione dei fumi prodotti, provocheranno
l'immissione nell'ambiente di quantità non trascurabili di numerosi
macro e micro inquinanti (polveri sottili [9] ed ultra sottili,
ossidi di azoto, idrocarburi policiclici aromatici [10], diossine..)
con effetti potenzialmente pericolosi per la salute della popolazione
esposta.
E nel bilancio ambientale, occorre
sommare anche le emissioni prodotte dal traffico pesante [11] indotto
dall'entrata in funzione dell'impianto e parte integrante della
attività dell'impianto stesso, ovvero tutti gli automezzi necessari
per i conferimenti di biomasse e per il ritiro e lo smaltimento delle
ceneri.
Delle emissioni di polveri fini ed
ultrafini [12, 13], di ossidi di azoto, di policiclici aromatici di
diverse decine di mezzi pesanti al giorno, lungo tutto il percorso
che giornalmente dovranno coprire, spesso non si trova traccia nei
documenti autorizzativi.
E spesso nulla si dice sul ruolo di
queste emissioni prodotte dal traffico e di quelle della centrale,
nella formazione di ozono e di polveri fini ed ultrafini di origine
secondaria [13], ovvero inquinanti pericolosi che si formano in
atmosfera, a distanza dalla fonte, per reazioni chimiche e
fotochimiche degli inquinanti primari (ossidi di azoto, idrocarburi).
In questo caso, riteniamo sia doveroso
dare il giusto peso alla salute umana, rispetto alla salute
dell'atmosfera del Pianeta e, secondo il nostro parere, non si può
privilegiare (economicamente) un discutibile contenimento delle
emissioni di gas serra, e un sicuro guadagno dell'impresa, se questa
scelta aumenta i rischi sanitari della popolazione esposta.
Il bio-metano come fonte energetica da
biomasse
Ci sembra opportuno sottolineare il
fatto che la combustione di un combustibile gassoso come il metano, a
parità di energia elettrica e calore prodotto, produce molto meno
inquinanti primari e secondari, rispetto alle biomasse solide; questo
combustibile è esente da ceneri, non necessita di trasporto e quindi
non induce inquinamento e possibili incidenti stradali, legati alla
movimentazione di veicoli.
E se il metano siberiano o libico è un
combustibile fossile e come tale è opportuno ridurne l'uso, anche
grazie ad una maggiore efficienza energetica di edifici ed industrie,
il metano da fermentazione anaerobica di biomasse di scarto, comprese
parte di quelle che si vogliono termovalorizzare nelle centrali a
biomasse, potrebbe permettere un'efficace contenimento delle
emissioni di gas serra, con un'impatto ambientale nettamente
inferiore a quello indotto dall'uso come combustibile di gran parte
delle biomasse solide che si vogliono bruciare nelle centrali
termoelettriche.
Molto interessante sarebbe la
realizzazione di un impianto di fermentazione anaerobica, progettato
secondo le migliori tecnologie disponibili, dimensionato al
trattamento degli scarti agricoli e degli allevamenti di bestiame
operanti in zona e se necessario anche al trattamento della frazione
umida dei rifiuti urbani raccolti con sistemi Porta a Porta.
Un impianto di questo tipo, finalizzato
alla produzione di metano e alla conversione energetica di questo gas
sia per gli autoconsumi dell'impianto, che per usi esterni
(riscaldamento-raffreddamento, autotrazione, cogenerazione di
elettricità e calore), potrebbe rendere energeticamente
autosufficienti le aziende agricole che operano nell'area. Inoltre,
un impianto per il trattamento aerobico dei fanghi prodotti dal
digestore e di cippato di legno derivante da eventuali potature e
dalla gestione dei vicini boschi, potrebbe chiudere il ciclo, con la
produzione di compost di qualità, prodotto che troverebbe la sua
naturale destinazione nelle stesse aziende agricole che alimentano il
digestore. In questo caso, la costante segregazione nei terreni
agricoli del carbonio organico sintetizzato dalle piante, nella forma
di compost, darebbe un contributo alla riduzione dei gas serra
nettamente maggiore di quello della semplice combustione delle stesse
biomasse.
Compatibilità con l'attività agricola
L'uso delle biomasse prodotte dalla
filiera corta locale per alimentare un impianto integrato
anaerobico-aerobico, con le caratteristiche descritte nel precedente
paragrafo, sarebbe assolutamente funzionale alla produzione agricola
di qualità, all'allevamento di bovini che spesso caratterizzano le
aree circostanti gli impianti proposti.
L'uso energetico del metano e del
compost, nelle attività agro-alimentari, ridurrebbero i costi
aziendali ma, fatto ancora più importante, tale scelta sarebbe
assolutamente compatibile con auspicabili scelte di agricoltura
biologica e di produzioni di prodotti DOC.
La realizzazione di un sistema
integrato, in grado di gestire con equilibrio, con un ridotto impatto
ambientale, le risorse naturali del territorio potrebbe essere un
efficace volano, anche promozionale, al nuovo modello di sviluppo
agricolo che si sta realizzando in molte aree italiane.
Tutti questi vantaggi, verrebbero meno
con l'entrata in funzione di una centrale termoelettrica a biomasse,
la cui progettazione e il cui dimensionamento è assolutamente avulso
dalla realtà e dalla vocazione agro-alimentare del territorio che
dovrebbe ospitarla.
Nella progettazione spesso si ignora il
fatto che gli inquinanti, immessi direttamente e indirettamente
nell'ambiente dall'attività della centrale (in particolare ossidi di
azoto e ozono) possono, in modo rilevante, ridurre la produzione
agricola [14-16] e l'accumulo nell'ecosistema di composti persistenti
(metalli, policiclici, diossine) [17] [18], prodotti dalla
combustione, potrebbe essere incompatibile con gli obiettivi di una
produzione agricola ed alimentare di alta qualità.
Anche i consumi di acqua per il
raffreddamento dell'impianto termoelettrico si metterebbero in
concorrenza con l'uso agricolo di questa risorsa.
L'impatto ambientale delle centrali a
biomasse
Per l'approvazione di una centrale a
biomasse ci sembra insufficiente, come di solito si vede scritto nei
documenti di presentazione, un semplice riferimento all'utilizzo
delle migliori tecnologie disponibili; questo è un requisito
obbligatorio per legge, per ottenere l'autorizzazione, ma che da solo
non garantisce la salute dei cittadini esposti agli inquinanti,
comunque prodotti ed immessi nell'ambiente.
Un più corretto termine di riferimento
per giustificare questa scelta, dovrebbe essere il confronto della
qualità dell'aria, del suolo e delle acque, prima dell'entrata in
funzione dell'impianto a biomasse, con stime della qualità delle
stesse matrici ambientali, una volta che l'impianto proposto fosse
realizzato.
Questo confronto si deve fare con
riferimento ai bilanci di massa (quantità di inquinanti immessi
nell'ambiente su base annua), alle concentrazione nei recettori
finali, ma anche al progressivo accumulo di inquinanti persistenti
nel suolo e nei sedimenti.
A riguardo, fondamentale è la stima
del possibile progressivo bioaccumulo lungo la catena alimentare dei
metalli tossici e dei composti organici persistenti presenti nelle
emissioni, nel corso della vita operativa dell'impianto.
Per approvare il nuovo impianto, con
riferimento ai suoi possibili effetti sulla salute e sulla qualità
dell'ambiente, sarebbe stato opportuno imporre questa condizione: con
l'entrata in funzione dell'impianto a biomasse, la qualità dell'aria
e delle diverse matrici ambientali interessate alle sue emissioni
deve migliorare o per lo meno restare uguale a quella pre-esistente.
Questi prerequisiti fanno esplicito
riferimento alla Direttiva 96/62/CE sulla gestione e qualità
dell'aria ambiente dei paesi dell'Unione che, all'Articolo 1
individua tra i suoi obiettivi quello di "mantenere la qualità
dell'aria ambiente, laddove è buona, e migliorarla negli altri
casi".
Nel caso in esame, il miglioramento
della qualità dell'aria nelle zone di potenziale impatto della
centrale potrebbe essere possibile se, ad esempio, nel sito
interessato le biomasse sostituissero un combustibile più
inquinante, ad esempio olio pesante utilizzato in un impianto
termoelettrico già esistente, oppure se l'impianto a biomasse
sostituisse un impianto già esistente, meno efficiente dal punto di
vista energetico.
Un miglioramento sarebbe possibile
qualora il recupero del calore prodotto dalla combustione delle
biomasse possa permettere di spegnere numerose calderine per uso
domestico, meglio se anch'esse a biomasse, o altri processi di
combustione per uso industriale operanti in zona, con fattore di
emissione superiori a quelle ottenibili con la combustione di
biomasse.
Il fatto che il nuovo impianto a
biomasse non dovrebbe peggiorare la situazione ambientale esistente
prima della sua realizzazione è una considerazione che, come già
detto, oltre che essere in sintonia con le scelte della Unione
Europea in tema di politiche di tutela dell'ambiente e della salute,
è motivata dal fatto che, come già accennato, ai fini del risparmio
energetico e della riduzione delle emissioni di gas serra non esiste
solo la combustione di biomasse per la produzione di elettricità e
di energia termica.
Senza Certificati Verdi nessuno
imprenditore privato farebbe questa scelta. La verità è che le
biomasse sono un combustibile povero, economicamente ed
energeticamente conveniente, senza sovvenzioni, solo nelle
circostanze che si verificano in paesi come la Svezia, dove
l'industria del legno produce grandi quantità di scarti e la
morfologia del territorio permette il facile taglio e trasporto di
questi materiali.
Inoltre solo le condizioni climatiche
di paesi come la Svezia rendono particolarmente economica la
cogenerazione da biomasse, in quanto la contemporanea produzione di
calore e di elettricità avviene per periodi ampiamente più lunghi
di quelli necessari per i climi quali quelli del centro Italia.
Come già affermato, l'uso di biomasse
a scopo energetico presenta problemi di impatto ambientale tutt'altro
che trascurabili.
Oltre che alle emissioni di
inquinanti convenzionali, quali ossido di carbonio, polveri totali
sospese e ossidi di azoto [19] occorre porre attenzione, come già
accennato, ad inquinanti meno convenzionali che si producono con la
combustione di biomasse, polveri sottili, [19], formaldeide [20],
benzene [21], idrocarburi policiclici aromatici [5], diossine [6,
22].
E, nonostante le segnalazioni che ci
vengono dalla letteratura scientifica spesso non si trova traccia,
nelle autorizzazioni di centrali a biomasse, di limiti a specifici e
pericolosi inquinanti certamente emessi dalla combustione delle
biomasse quali benzene, formaldeide e butadiene.
Economie di scala e impatti ambientali
Dal punto di vista dell'impatto
ambientale, la scelta di privilegiare la combustione di biomasse per
la produzione di elettricità pone un altro problema: l'economia di
scala.
Una centrale a biomasse, per poter
produrre elettricità a costi confrontabili con quelli in uso in
Europa, deve avere una potenza pari a 20 megawatt elettrici [23]. Ma
a potenze installate maggiori corrispondono bilanci di massa
proporzionalmente più elevati.
Segnaliamo, che nei documenti relativi
alla disponibilità di biomasse da filiere più o meno corrte,
raramente si trova traccia degli effetti di questo continuo prelievo
di biomasse, negli equilibri in micro e macro nutrienti dei terreni
agricoli e forestali coinvolti.
Valutazioni di tipo agronomico
sottolineano la delicatezza di questo punto, sia per quanto riguarda
la necessità che micronutrienti ritornino ai campi e ai boschi dai
quali sono stati sottratti insieme alle biomasse, ma anche ai
problemi che si potrebbero avere nel tempo se questa restituzione
avvenisse con parte delle ceneri.
Nei progetti spesso si afferma che le
ceneri saranno inviate a cementifici, ma questa proposta quasi sempre
è fatta senza alcun tipo di analisi a supporto di questa scelta, in
particolare di quali sarebbero i cementifici disposti ad accettare
tutte queste ceneri, in considerazione della grande offerta di questi
scarti da centrali a carbone e inceneritori.
Le ceneri
La gestione delle ceneri da biomasse
non è un fatto banale. Questo argomento risulta trattato da diversi
autori con riferimento al recupero, utilizzo e smaltimento delle
ceneri che gli impianti a biomassa inevitabilmente produrranno [5,
19, 24], pari allo 0,5 -0,7 % in peso, rispetto alla quantità di
materiale trattato, se viene bruciato legname essiccato, ma con
percentuali più elevate, se sono usate biomasse come la paglia che
lascia un residuo pari al 15,5% del peso della paglia bruciata, un
valore nettamente superiore alle ceneri prodotte dal carbone (7%).
Altro problema critico è il livello di
tossicità delle ceneri ed in particolare delle ceneri volanti
raccolte dagli impianti di depurazione dei fumi. Anche questo
specifico argomento non ci sembra adeguatamente approfondito nelle
relazioni fornite. Ricordiamo che il contenuto di cadmio, cromo,
rame, piombo e mercurio delle ceneri volanti derivanti dalla
combustione di legname (quercia, faggio, abete) è superiore a quella
riscontrabile nelle ceneri volanti prodotte dalla combustione di
carbone [24].
Questo risultato segnala la necessità
di non sottovalutare la possibilità che questi metalli tossici siano
presenti nelle polveri leggere raccolte dai sistemi di filtrazione
dell'aria. Questa evenienza, se verificata (e certamente da non
escludere a priori) deve far scattare adeguate contromisure a tutela
della salute dei lavoratori che dovranno provvedere allo smaltimento
di queste polveri. E la possibile presenza di cadmio e mercurio nelle
biomasse termovalorizzate, comporta anche la necessità di prevedere
la loro presenza nelle emissioni gassose prodotte dalla loro
combustione.
Se la presenza di cadmio e mercurio nei
fumi di una centrale a biomasse richiederà una verifica
sperimentale, è certa la presenza negli stessi fumi di
idrocarburi policiclici aromatici, diossine e furani.
E a riguardo spesso, sia la società
proponente che gli Enti pubblici di controllo, ignorano specifiche e
subdole caratteristiche eco-tossiche di queste classi di composti:
persistenza, bioaccumulo lungo la catena alimentare, effetti
genotossici e, con riferimento a policiclici aromatici, diossine e
furani, effetti di interferenza sul sistema endocrino.
Queste caratteristiche, in sintesi,
comportano il fatto che la pericolosità di questi composti non è
dovuta alla loro concentrazione nell'aria inalata, ma alla
concentrazione, destinata ad aumentare nel tempo, nelle diverse
matrici ambientali presenti nella zona di deposizione e lungo la
catena alimentare, fino al consumatore finale che, nel caso della
specie umana, è la sua prole, nella fase di allattamento al seno.
Il caso frequente della presenza di
un'intensa attività agricola nel comprensorio potenzialmente
interessato alle ricadute dei fumi della centrale, sottolinea la
necessità di non sottovalutare questo problema.
Purtroppo, le normative europee e
nazionali non hanno ancora recepito le conoscenze della comunità
scientifica internazionale che suggeriscono l'opportunità che le
emissioni di composti organici persistenti e bioaccumulabili e
metalli con analoghe caratteristiche tossicologiche, siano normati in
base alla quantità complessiva di questi composti (da qualunque
fonte emessa) che, annualmente, si deposita al suolo [25]. In questo
caso, il valore fissato alle immissioni giornaliere dovrebbero essere
tali da garantire che l'utilizzatore finale degli alimenti prodotti a
partire da quel terreno contaminato, assuma una quantità di diossine
inferiore alla dose che, oggi, le organizzazioni internazionali per
la tutela della salute pubblica (OMS) giudicano tollerabile.
Analoga considerazione si può fare per
gli idrocarburi policiclici aromatici (IPA), composti riconosciuti
come cancerogeni e distruttori del sistema endocrino.
Diversi IPA tra quelli normati sono
cancerogeni certi per l'uomo e la loro formazione è una
caratteristica della combustione di ogni biomassa, a partire dalla
combustione delle foglie di tabacco.
Anche questa emissione sarebbe
nettamente inferiore se, a parità di energia elettrica e termica
prodotta, la centrale termoelettrica, al posto delle biomasse,
utilizzasse come combustibile il bio-metano, nelle cui emissioni, a
parità di energia prodotta, i policiclici aromatici cancerogeni sono
presenti a concentrazioni nettamente inferiori.
Conclusioni
Ci sembra utile concludere queste
nostre osservazioni, citando a nostra volta le conclusioni di un
recente studio svedese che ha messo a confronto diversi combustibili
per impianti di teleriscaldamento (con produzione combinata di calore
e elettricità), in base ad una analisi del ciclo di vita [26] che ha
considerato sia gli aspetti energetici che quelli ambientali. Sono
stati messi a confronto l'incenerimento di rifiuti, la combustione di
biomassa e la combustione di metano. Le conclusioni sono che
l'incenerimento dei rifiuti non è la migliore scelta e spesso è la
peggiore se l'incenerimento (con teleriscaldamento) sostituisce il
riciclaggio. Un impianto di cogenerazione a metano è una alternativa
interessante e da preferire se l'elettricità prodotta è in
sostituzione di elettricità prodotta da combustibili fossili, come
avviene in Italia. Se il paese in esame fa un prevalente uso di fonti
energetiche non fossili (nucleare, idroelettrico, solare, eolico)
come la Svezia, l'uso energetico delle biomasse è da preferirsi al
metano.
Nostra conclusione pertanto è che
l'inquinamento ambientale indotto dai tanti impianti a biomasse
che si propongono in Italia, pur nel pieno rispetto delle norme
vigenti, peggiora l'attuale qualità dell'aria dei territori che
dovrebbero ospitarle, con le emissioni da camino e con quelle del
traffico veicolare indotto (ossidi di azoto, polveri fini (PM10) ed
ultra fini (PM2,5) e peggiora anche la qualità del suolo, e dei
prodotti agricoli di questi stessi suoli, con le ricadute di
composti organici persistenti (diossine, furani, idrocarburi
policiclici) e probabilmente di metalli pesanti.
I rischi sanitari indotti da
questa contaminazione, per quanto piccoli possano essere stimati, non
sono giustificati dai benefici collettivi indotti dalla
realizzazione dell'impianto, il cui principale scopo è quello di
massimizzare gli utili dei proponenti, in base agli attuali
incentivi alla produzione di elettricità da biomasse.
A nostro avviso è giustificata
l'opposizione alla realizzazione di questi impianti sia da parte
delle comunità interessate, sia, spesso dei loro rappresentanti, in
quanto le centrali a biomasse proposte non sono assolutamente una
scelta obbligata, né tantomeno una scelta strategica allo sviluppo
del Paese. Molti dei problemi ambientali e sanitari indotti dal loro
esercizio potrebbero essere evitati o fortemente ridotti, se al posto
della combustione delle biomasse venisse realizzato un diverso
impianto per la produzione di energia da biomasse (ad esempio
trattamento anaerobico delle biomasse con produzione di biogas e
compost), con una capacità di trattamento idonea alla produzione
locale degli scarti agricoli e di allevamento e degli scarti
biodegradabili dei rifiuti urbani, raccolti con una opportuna
separazione alla fonte.»
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