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sabato 5 settembre 2015

Sblocca Italia e nuovi inceneritori, team di ricercatori evidenzia criticità ed errori

Un team di esperti e ricercatori, composto da Natale Belosi, Coordinatore Scientifico Ecoistituto di Faenza, Agostino Di Ciaula, Medico, Coordinatore Comitato Scientifico ISDE – Medici per l’Ambiente, Enzo Favoino, Scuola Agraria del Parco di Monza, Coordinatore Scientifico ZWE - Zero Waste Europe, Beniamino Ginatempo, Professore Ordinario di Fisica, Università di Messina, Andrea Masullo, Ingegnere Ambientale, Direttore Scientifico Greenaccord, Piergiorgio Rosso, Ingegnere Esperto Sistemi Industriali e Federico Valerio, Chimico Ambientale, ha predisposto alcune note di valutazione critica dello Schema di Decreto applicativo dell’art.35 del cosiddetto “Sblocca-Italia”, fornendo al contempo evidenze e valutazioni sugli errori fattuali e concettuali dello stesso, a supporto delle campagne per una evoluzione virtuosa dei sistemi di gestione dei rifiuti, secondo le direttrici della strategia Rifiuti Zero e una visione di Economia Circolare.

Per il gruppo di scienziati lo Schema di Decreto applicativo dell'articolo 35 presenta diversi errori, sia concettuali che fattuali.
Innanzitutto il decreto presenta un errore di impostazione concettuale: lo Schema presuppone di volere rispondere alle criticità presenti sul territorio nazionale, onde evitare procedure di infrazione per mancato rispetto delle Direttive. Riferendosi – con ogni evidenza secondo gli esperti – alla Direttiva 99/31 sulle discariche, ed in particolare al mancato rispetto (in alcune parti del territorio nazionale) dell’obbligo di pretrattamento, sancito dall’art. 6, punto a) (“solo il rifiuto trattato viene collocato in discarica”, obbligo poi ripreso dal Dlgs. 36/03 di recepimento della Direttiva). Il problema è che lo Schema di Decreto assume che tale obbligo vada rispettato mediante sistemi di trattamento termico, e che il rifiuto urbano residuo (RUR) debba dunque passare attraverso sistemi di incenerimento (o co-incenerimento): questo non è condivisibile, né corretto, in quanto non c’è nulla che attesti un tale obbligo nelle Direttive UE, ed esistono invece altri sistemi di pretrattamento.

Dal punto di vista tecnico il team di ricercatori evidenzia come nel documento del governo tanti passaggi di calcolo sono “artificiosamente errati”, ed al solo scopo strumentale di massimizzare il calcolo delle necessità di ulteriore incenerimento. Tra le distorsioni di calcolo ed assunti erronei fondamentali gli scienziati sottolineano che:
si assume il conseguimento del 65% di RD (e non un decimo di percentuale di più, come se tale livello fosse il livello massimo e non minimo di RD previsto dalle disposizioni nazionali; sappiamo invece che ulteriori scenari virtuosi e livelli incrementali di RD si aprono sempre, quando si consolidano schemi basati su RD porta a porta e tariffazione puntuale);
non si tiene conto di quei Piani Regionali che già da tempo prevedono comunque obiettivi di RD superiori, ed in certi casi (es. Veneto) marcatamente superiori al 65%;
con la paure – per gli esperti – che le Regioni potrebbero essere costrette a rivederli al ribasso.
non vengono minimamente considerati gli effetti quantitativi di programmi di prevenzione/riduzione del rifiuto (si assume solo una “invarianza del quantitativo di RU”), che sono però resi obbligatori o dall'articolo 29 della Direttiva 2008/98, o dallo stesso Programma Nazionale di Prevenzione dei Rifiuti, incluse le indicazioni fornite dal Comitato Tecnico Scientifico per l’attuazione del Programma Nazionale di Prevenzione;
viene impropriamente computata una necessità di incenerimento del 10% dei materiali da raccolta differenziata, quando o le percentuali di scarti, nei modelli domiciliari (quelli di riferimento per il conseguimento degli obiettivi nazionali di RD e soprattutto per quelli incrementali ora in discussione nell’ambito del dibattito su Economia Circolare a livello UE) sono inferiori, a volte marcatamente inferiori, o non tutti gli scarti da attività di riciclaggio sono inceneribili (es. scarti da vetrerie), o gran parte degli scarti inceneribili sono anche, in modo più coerente con le gerarchie UE, e con migliore profitto economico, riciclabili (es. plastiche eterogenee);
si assume una produzione del 65% di CSS dagli impianti di pretrattamento – dato artificiosamente al rialzo per il team – rispetto alla realtà degli stessi impianti di preparazione CSS;
inoltre si rileva che gli stessi quantitativi avviati a co-incenerimento, che vanno dunque in detrazione al computo delle necessità complessive di incenerimento, sono largamente sottostimati, essendo basati sui dati 2013 che non tengono conto degli effetti incrementali determinati dal “Decreto Clini” nell’ultimo biennio;
non si prevedono assolutamente scenari operativi alternativi, come gli impianti a freddo con recupero di materia (cosiddette "Fabbriche dei Materiali") che non solo sono praticabili e praticati, anche per la riconversione di vecchi impianti di TMB (per i quali lo Schema di Decreto assume invece la continuazione della produzione di CSS), ma si stanno diffondendo nelle programmazioni locali in molte parti d'Italia in modo da o rispondere da subito all’obbligo di pretrattamento o farlo secondo declinazioni virtuose e rispettose della primazia del recupero materia, o farlo con minore impegno di risorse finanziarie per unità di capacità operativa installata (i costi di investimento specifici di tali impianti sono di 300-500 Euro/t.anno, contro 1000-1500 Euro/t.anno necessari per gli impianti di incenerimento) il che consente di riservare maggiori risorse alla attivazione dei sistemi di RD ed all’impiantistica dedicata al riciclo ed al compostaggio, o mantenere flessibilità nel medio-lungo termine, grazie alla convertibilità di tali impianti a trattare materiali da RD, il che consente di accompagnare la crescita delle raccolte differenziate e la minimizzazione progressiva del RUR.

Ma per il gruppo di esperti il maggiore difetto di analisi dello Schema di Decreto è il non prendere “in minima considerazione” gli scenari incrementali di recupero materia attualmente in discussione a livello UE, nel corso del dibattito sulla “Economia Circolare”; scenari che con ogni probabilità porteranno ad un aumento degli obiettivi di recupero materia (70% rispetto all'attuale 50%, assunto dallo Schema di Decreto). Evidentemente, la cosa non potrà coesistere con una situazione di infrastrutturazione "pesante", come previsto dallo Schema di Decreto, mediante impianti che richiedono alimentazione con flussi di RUR garantiti per 20-30 anni.

Un errore già commesso negli anni novanta dalla Danimarca, per poi rimediare adottando una strategia nazionale di gestione delle risorse che prevede ora una “exit strategy” dall’incenerimento al grido di “ricicliamo di più, inceneriamo di meno”.

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