Un team di esperti e ricercatori,
composto da Natale Belosi, Coordinatore Scientifico Ecoistituto di
Faenza, Agostino Di Ciaula, Medico, Coordinatore Comitato Scientifico
ISDE – Medici per l’Ambiente, Enzo Favoino, Scuola Agraria del
Parco di Monza, Coordinatore Scientifico ZWE - Zero Waste Europe,
Beniamino Ginatempo, Professore Ordinario di Fisica, Università di
Messina, Andrea Masullo, Ingegnere Ambientale, Direttore Scientifico
Greenaccord, Piergiorgio Rosso, Ingegnere Esperto Sistemi Industriali
e Federico Valerio, Chimico Ambientale, ha predisposto alcune note di
valutazione critica dello Schema di Decreto applicativo dell’art.35
del cosiddetto “Sblocca-Italia”, fornendo al contempo evidenze e
valutazioni sugli errori fattuali e concettuali dello stesso, a
supporto delle campagne per una evoluzione virtuosa dei sistemi di
gestione dei rifiuti, secondo le direttrici della strategia Rifiuti
Zero e una visione di Economia Circolare.
Per il gruppo di scienziati lo Schema
di Decreto applicativo dell'articolo 35 presenta diversi errori, sia
concettuali che fattuali.
Innanzitutto il decreto presenta un
errore di impostazione concettuale: lo Schema presuppone di volere
rispondere alle criticità presenti sul territorio nazionale, onde
evitare procedure di infrazione per mancato rispetto delle Direttive.
Riferendosi – con ogni evidenza secondo gli esperti – alla
Direttiva 99/31 sulle discariche, ed in particolare al mancato
rispetto (in alcune parti del territorio nazionale) dell’obbligo di
pretrattamento, sancito dall’art. 6, punto a) (“solo il rifiuto
trattato viene collocato in discarica”, obbligo poi ripreso dal
Dlgs. 36/03 di recepimento della Direttiva). Il problema è che lo
Schema di Decreto assume che tale obbligo vada rispettato mediante
sistemi di trattamento termico, e che il rifiuto urbano residuo (RUR)
debba dunque passare attraverso sistemi di incenerimento (o
co-incenerimento): questo non è condivisibile, né corretto, in
quanto non c’è nulla che attesti un tale obbligo nelle Direttive
UE, ed esistono invece altri sistemi di pretrattamento.
Dal punto di vista tecnico il team di
ricercatori evidenzia come nel documento del governo tanti passaggi
di calcolo sono “artificiosamente errati”, ed al solo scopo
strumentale di massimizzare il calcolo delle necessità di ulteriore
incenerimento. Tra le distorsioni di calcolo ed assunti erronei
fondamentali gli scienziati sottolineano che:
si assume il conseguimento del 65% di
RD (e non un decimo di percentuale di più, come se tale livello
fosse il livello massimo e non minimo di RD previsto dalle
disposizioni nazionali; sappiamo invece che ulteriori scenari
virtuosi e livelli incrementali di RD si aprono sempre, quando si
consolidano schemi basati su RD porta a porta e tariffazione
puntuale);
non si tiene conto di quei Piani
Regionali che già da tempo prevedono comunque obiettivi di RD
superiori, ed in certi casi (es. Veneto) marcatamente superiori al
65%;
con la paure – per gli esperti –
che le Regioni potrebbero essere costrette a rivederli al ribasso.
non vengono minimamente considerati gli
effetti quantitativi di programmi di prevenzione/riduzione del
rifiuto (si assume solo una “invarianza del quantitativo di RU”),
che sono però resi obbligatori o dall'articolo 29 della Direttiva
2008/98, o dallo stesso Programma Nazionale di Prevenzione dei
Rifiuti, incluse le indicazioni fornite dal Comitato Tecnico
Scientifico per l’attuazione del Programma Nazionale di
Prevenzione;
viene impropriamente computata una
necessità di incenerimento del 10% dei materiali da raccolta
differenziata, quando o le percentuali di scarti, nei modelli
domiciliari (quelli di riferimento per il conseguimento degli
obiettivi nazionali di RD e soprattutto per quelli incrementali ora
in discussione nell’ambito del dibattito su Economia Circolare a
livello UE) sono inferiori, a volte marcatamente inferiori, o non
tutti gli scarti da attività di riciclaggio sono inceneribili (es.
scarti da vetrerie), o gran parte degli scarti inceneribili sono
anche, in modo più coerente con le gerarchie UE, e con migliore
profitto economico, riciclabili (es. plastiche eterogenee);
si assume una produzione del 65% di CSS
dagli impianti di pretrattamento – dato artificiosamente al rialzo
per il team – rispetto alla realtà degli stessi impianti di
preparazione CSS;
inoltre si rileva che gli stessi
quantitativi avviati a co-incenerimento, che vanno dunque in
detrazione al computo delle necessità complessive di incenerimento,
sono largamente sottostimati, essendo basati sui dati 2013 che non
tengono conto degli effetti incrementali determinati dal “Decreto
Clini” nell’ultimo biennio;
non si prevedono assolutamente scenari
operativi alternativi, come gli impianti a freddo con recupero di
materia (cosiddette "Fabbriche dei Materiali") che non solo
sono praticabili e praticati, anche per la riconversione di vecchi
impianti di TMB (per i quali lo Schema di Decreto assume invece la
continuazione della produzione di CSS), ma si stanno diffondendo
nelle programmazioni locali in molte parti d'Italia in modo da o
rispondere da subito all’obbligo di pretrattamento o farlo secondo
declinazioni virtuose e rispettose della primazia del recupero
materia, o farlo con minore impegno di risorse finanziarie per unità
di capacità operativa installata (i costi di investimento specifici
di tali impianti sono di 300-500 Euro/t.anno, contro 1000-1500
Euro/t.anno necessari per gli impianti di incenerimento) il che
consente di riservare maggiori risorse alla attivazione dei sistemi
di RD ed all’impiantistica dedicata al riciclo ed al compostaggio,
o mantenere flessibilità nel medio-lungo termine, grazie alla
convertibilità di tali impianti a trattare materiali da RD, il che
consente di accompagnare la crescita delle raccolte differenziate e
la minimizzazione progressiva del RUR.
Ma per il gruppo di esperti il maggiore
difetto di analisi dello Schema di Decreto è il non prendere “in
minima considerazione” gli scenari incrementali di recupero materia
attualmente in discussione a livello UE, nel corso del dibattito
sulla “Economia Circolare”; scenari che con ogni probabilità
porteranno ad un aumento degli obiettivi di recupero materia (70%
rispetto all'attuale 50%, assunto dallo Schema di Decreto).
Evidentemente, la cosa non potrà coesistere con una situazione di
infrastrutturazione "pesante", come previsto dallo Schema
di Decreto, mediante impianti che richiedono alimentazione con flussi
di RUR garantiti per 20-30 anni.
Un errore già commesso negli anni
novanta dalla Danimarca, per poi rimediare adottando una strategia
nazionale di gestione delle risorse che prevede ora una “exit
strategy” dall’incenerimento al grido di “ricicliamo di più,
inceneriamo di meno”.
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