L'assessorato siciliano all'Ambiente –
dopo un'indagine interna avviata a seguito della segnalazione di
“strani” ritardi nell'iter autorizzativo della nuova (sic)
discarica di Gela – ha scoperchiato un giro di mazzette che
coinvolgerebbe funzionari del dipartimento, con conseguente denuncia
alla procura, firmata dall'assessore Mariella Lo Bello.
Nel mirino è finito un funzionario,
non solo per il caso della discarica di Gela, ma anche per altre
procedure autorizzative rilasciate in passato. In particolare per la
convocazione, nel settembre 2008, di una conferenza dei servizi,
dallo stesso presieduta, che ha rilasciato l'Autorizzazione integrata
ambientale per l'ampliamento di una discarica nella Sicilia
orientale, omettendo la vicinanza a un centro abitato. Il Tar ha poi
annullato questa autorizzazione ma, guarda caso, nell'ottobre del
2008 il funzionario ha acquistato un'Audi A6 in Lombardia, in una
concessionaria che faceva riferimento a un amministratore della
discarica in questione.
«Così è stato nel caso di un funzionario
del Dipartimento ambiente - riferisce l'assessore Lo Bello - che subito
dopo aver presieduto una conferenza di servizi che procedeva al rilascio
dell'autorizzazione, è diventato proprietario di un'automobile
acquistata presso una concessionaria del novarese, il cui amministratore
delegato risulta essere anche l'amministratore delegato della società
alla quale era stata rilasciata l'autorizzazione, autorizzazione che poi
il Tar, con due diverse sentenze nel 2012, ha annullato. Abbiamo così trasferito il
funzionario e presentato una denuncia sospettando un giro di tangenti
per oliare alcune pratiche piuttosto che altre, il tutto in un
assessorato noto per le sue lentezze e le improvvise accelerazioni»,
dice Mariella Lo Bello.
Vi dice niente? A quale discarica si
riferisce l'indagine dell'assessore Lo Bello? Chi presiedette quella
conferenza dei servizi?
Per chi avesse avuto modo di leggere il
mio La collina della munnizza (2012) ricorderà che nel
riportare la cronaca relativa al secondo ampliamento della discarica
di Mazzarrà scrivevo (pag. 61): «La seconda conferenza dei servizi
si tenne il 12 settembre del 2008 […] dal verbale della riunione
risulta che nell’occasione fu chiesto alla Tirrenoambiente dai
rappresentanti dell’Arpa di spiegare l’incongruenza di
informazioni circa la quantità di abbancamento dei rifiuti
rilasciato sulla precedente Aia nei confronti della ditta stessa. Il
punto doveva essere di una certa rilevanza visto che, come risulta
sempre dal verbale, sull’argomento ci fu un’ampia discussione sul
quale si erano bloccati i lavori della conferenza. L’intervento del
presidente Cannova [che evidentemente aveva fretta di concludere i
lavori, N.d.A.] con la dichiarazione che sull’argomento in
questione avrebbe preparato una memoria, pose fine al dibattito».
Presunte mazzette o meno, sta di fatto
che la decisione “d'imperio” del presidente diede il via
definitivo all'Aia.
In questi stessi giorni è stata
inoltre emessa l'attesa sentenza al processo d'appello scaturito
dall'operazione Vivaio del 2008. Al centro dell'indagine gli illeciti
interessi del clan di Mazzarrà dal 2003 in poi: il business rifiuti,
con lo smaltimento e le assunzioni alle società che gestivano le
discariche di Mazzarrà e Tripi, Tirrenoambiente e l’Ato
comprensoriale, lo smaltimento illecito del pastazzo, le estorsioni
alle imprese edili titolari di importati commesse pubbliche: le
gallerie autostradali e ferroviarie, ad esempio, passando per la
guerra interna al gruppo tra la famiglia di Bisognano, negli anni in
cui il boss era in carcere, e il reggente Tindaro Calabrese, ansioso
di prenderne il posto, forte dell’alleanza col reggente dei
barcellonesi, Carmelo D’Amico, e i contatti con i Lo Piccolo,
culminata nell’omicidio di Ninì Rottino. Agli atti dell’inchiesta
anche l'interferenza nelle elezioni amministrative di Furnari, comune
poi sciolto dal Presidente della Repubblica nel 2009 per
infiltrazioni mafiose.
L'impianto accusatorio dei pm Verzera e
Massara regge anche in secondo grado. Nel 2012 la prima sentenza
aveva stabilito 16 condanne per quasi 130 anni di carcere e un
ergastolo, e subito dopo erano scattati gli arresti per due “colletti
sporchi” ritenuti collusi ai clan. Quella confermata dalla Corte
d'appello di Messina può essere ritenuta a ragione la prima grossa
condanna ad un maxi processo per ecomafia in Sicilia.
Il verdetto d'appello ha confermato
l’ergastolo per Aldo Nicola Munafò, braccio destro del boss
Tindaro Calabrese – al quale sono stati inflitti 16 anni –
accusato di essere l'esecutore dell'omicidio Rottino, il camionista
eliminato nell'estate nel 2006 nella guerra tra Calabrese e il boss,
oggi collaboratore di giustizia, Melo Bisognano. Sconto di pena per
quest'ultimo, 7 anni e mezzo. Sconto di pena anche per il professore
Nello Giambò, ex presidente di Tirrenoambiente ed ex sindaco di
Mazzarrà S. Andrea. La condanna per lui scende da 14 a 8 anni. Otto
anni anche per l'imprenditore Michele Rotella inteso "u baruni"
che, insieme a Bisognano e Giambò costituirono la “triade” a cui
si deve la nascita della discarica.
Nessun commento:
Posta un commento