Ne racconta di cose il nuovo pentito del clan dei
mazzarroti, costola della famiglia mafiosa di Barcellona P.G. (ME) Salvatore
Artino, figlio di Ignazio, uomo ai vertici del gruppo criminale poi assassinato
da Salvatore Campisi − oggi collaboratore di giustizia − nel 2011, per il
controllo sul territorio da Mazzarrà a Terme Vigliatore.
Dal ruolo rivestito dall'imprenditore Rotella, detto u
baruni e dal professore universitario Nello Giambò nella gestione della
discarica di Mazzarà, all’omicidio Rottino, ma anche delle pressioni alle
elezioni del 2007 di Mazzarrà S. Andrea.
Oltre a confermare quanto già rivelato dai pentiti Carmelo
Bisognano e Santo Gullo, i primi a far luce sulle dinamiche criminali della
mafia tirrenica, le dichiarazioni di Artino confermano lo stretto legame tra il
Giambo, presidente all’epoca della Tirrenoambiente (la società proprietaria
della discarica), e il Rotella al quale faceva avere tutte le “commesse”
all’interno della discarica.
Molto precise anche quelle su movente, mandanti ed esecutori
materiali dell'omicidio di Antonino Rottino, avvenuto nel 2006.
Perché morì Rottino?
Secondo il neo pentito «…è stato ucciso in quanto aveva
trattenuto i 120 mila euro provento di estorsioni con le quali aveva realizzato
un vivaio».
Chi furono gli esecutori?
Racconta Artino «…sono a conoscenza dei particolari
dell’omicidio di Rottino Antonino commesso da mio padre Artino Ignazio e Munafò
Aldo con la partecipazione di Bucalo Angelo e Giovanni Pino i quali hanno
accompagnato i killer sul luogo del delitto… due giorni dopo l’omicidio il
Munafò che incontrai davanti ad un bar mi disse che il Rottino non doveva
dargli fastidio e conseguentemente egli gli aveva “spaccato il culo”».
Il neo pentito ha parlato anche dei “rapporti” della cosca
con la politica locale, ed in particolare delle elezioni che si tennero a
Mazzarrà Sant’Andrea nel 2007 che videro la vittoria di Navarra, definito un
“pupo che si limitava a firmare e basta”, essendo le vera gestione nelle mani
dell'ex sindaco Nello Giambò e dell’allora assessore al bilancio Carmelo
Pietrafitta.
Secondo il collaboratore il boss Tindaro Calabrese fece
pressioni e minacciò l’allora candidato Pietro Torre per farlo ritirare dalla
competizione. «... mio padre Ignazio il quale mi disse anche esplicitamente che
Calabrese Tindaro costrinse Pietro Torre a ritirarsi dalla competizione
elettorale».
Un’elezione che avrebbe fruttato ai mazzarroti la
considerevole somma di un milione e mezzo di euro “spalmata” in cinque anni,
consegnati per tramite proprio dell'assessore Pietrafitta.
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