In Sicilia le industrie producono più inquinamento
che benefici. Aree ad alto rischio: Milazzo, Valle del Mela, Gela,
Priolo, Siracusa, Ragusa, Augusta, Melilli e Niscemi
In alcune aree della Sicilia la situazione dell’ambiente, dell’aria e
delle acque è ormai ai limiti della sostenibilità. Le conseguenze del
miraggio industriale hanno prodotto e produrranno gravi disagi e gravi
malattie danneggiando irreparabilmente luoghi di grande rilievo
naturalistico e turistico.
Questa storia ha inizio tanti, tanti anni fa, quando studi condotti
sul territorio siciliano riferivano circa la criticità dell’impatto
ambientale prodotto dall’attività industriale di natura petrolchimica.
Indagini condotte già negli anni Settanta (Duce e Hoffman, 1976; Hope,
1997; Stigter e altri, 2000) avevano rilevato nell’aria, la presenza di
alcuni metalli (vanadio, arsenico, cromo, cadmio) in quantità
significativamente rilevanti nei territori interessati da industrie
petrolifere.
Per questo motivo le aree di Gela, Augusta-Priolo e Milazzo nel
2002, vengono dichiarate “a elevato rischio di crisi ambientale”.
In base alla legge n. 389 del 1986, un territorio può essere definito
“a elevato rischio di crisi ambientale” quando si verificano gravi
alterazioni degli equilibri ecologici nei corpi idrici, nell’atmosfera o
nel suolo. Alterazioni tali da costituire un rischio per le popolazioni
e l’ambiente.
Da allora sono stati pubblicati altri studi che rilevano livelli
sopra la norma di contaminazione di metalli pesanti in atmosfe- ra
nell’area di Gela (Bosco e altri, 2005). A Milazzo, uno studio sui
sedimenti marini superficiali conferma la presenza di elevate
concentrazioni di differenti classi di idrocarburi associabili alle
attività industriali di raffinazione del petrolio e dei suoi derivati
(Yakimov e altri, 2005). Secondo uno studio su Stato di salute della
popolazione residente nelle aree ad elevato rischio ambientale e nei
siti di interesse nazionale della Sicilia l’elevata “mortalità e
morbosità osservati nelle aree di Augusta-Priolo, Gela e Milazzo”
sono “attribuibili ad esposizioni professionali ed ambientali legate
ai numerosi impianti industriali ed al conseguente inquinamento
delle matrici ambientali”.
Per affrontare queste problematiche, nel 2002 venne istituita la
“Commissione Stato-Regione, Provincia, Enti locali, per la definizione
del piano di risanamento ambientale e rilancio economico del
Comprensorio del Mela”, che avrebbe dovuto, tra l’altro, redigere una
bozza del piano di risanamento.
Nel 2005 fu attivato, presso l’assessorato regionale al Territorio e
ambiente l’Ufficio speciale per le aree ad elevato rischio di crisi
ambientale della Sicilia che avrebbe avuto il compito di realizzare
“programmi e progetti di rilevante entità e complessità, nella
definizione e realizzazione, aggiornamento periodico dei piani di
risanamento, rilascio di pareri preventivi, su qualsiasi decisione di
competenza della Regione e degli Enti locali relativa a problematiche
ambientali o comunque con implicazioni ambientali inerenti le aree a
rischio”.
Lo stesso anno furono pubblicate le Linee guida per la formazione
del “Piano per il risanamento ambientale ed il rilancio economico del
Comprensorio del Mela”, un documento dove oltre a “ecologia”,
“biocapacità”, “risanamento ambientale”, “buone pratiche”, “principio
di precauzione”, “tutela dei lavoratori” e si riaffermava il principio
che “la razionalizzazione delle attività industriali che hanno
generato la situazione di crisi ambientale, ed il conseguente rientro
dell’impatto antropico negli standard della sostenibilità costituiscono
un presupposto imprescindibile dell’azione di risanamento”.
In queste tre aree dell’isola l’Organizzazione mondiale della sanità
ha rilevato – sulla base di uno studio del 2005 – patologie le cui
frequenze si discostano significativamente dalla media nazionale: i
tumori alla laringe presentano un’incidenza del 200% in più; + 25% le
malattie cerebrovascolari; +35% le malattie respiratorie; + 55% i
sintomi mal definiti ovvero mal di testa, mal di stomaco, ecc.
L’Oms ha così deciso di avviare un progetto “che prevede analisi
sanitarie con tanto di mappatura regionale e azioni di monitoraggio
ambientale comprensive delle bonifiche”.
Inoltre, in Sicilia “è in corso un’analisi della mortalità delle tre
aree industrializzate, mentre insieme all’Istituto superiore di sanità
sta lavorando sulle problematiche relative all’amianto e sulle
eventuali connessioni tra l’inquinamento e la catena alimentare.
Oggi, a distanza di vent’anni e passa dai primi studi cosa è stato
fatto in concreto per risolvere le problematiche delle aree ad alto
rischio della Sicilia che costituiscono un costo non indifferente per
la nostra Regione, sia sotto il profilo umano, sia sotto il profilo
economico?
L’impatto sull’ambiente di certe industrie presenti sull’isola non è
un rischio ma una certezza. Eppure la Regione siciliana, che ha creato
lo “Sportello unico per le aree le aree ad elevato rischio di crisi
ambientale”, non ha ancora attuato “le disposizioni della legge 257 del
1992 che prevede la definizione, da parte di tutti gli Enti locali, di
un Piano di rimozione dei manufatti in amianto e quindi può incorrere
in infrazioni da parte dell’Unione Europea”. Per le tre aree ad elevato
rischio industriale del Siracusano, Valle del Mela e Gela lo Sportello
unico ha emesso un bando di gara pari a 10 milioni di euro per la
realizzazione del Piano amianto regionale.
Nella passata legislatura – nell’inattività delle precedenti
amministrazioni regionali – sono scaduti i termini (10 anni) per la
messa a punto e l’avvio del Piano di emergenza per prevenire e curare i
danni provocati dall’inquinamento ambientale senza che venisserro
attuate le misure che avrebbero permesso di ridurne l’impatto sulla vita
e sulla salute dei siciliani.
Serve a poco che l’Unione Europea promuova un “Programma d’Azione
Comunitaria in materia di salute” (2008-2013), in cui si afferma che è
indispensabile “concentrarsi sugli effetti sulla salute di determinanti
più generali, di tipo ambientale, fra cui la qualità dell’aria negli
interni e l’esposizione a sostanze chimiche tossiche”, se poi in Italia
gli amministratori locali e nazionali non provvedono ad emanare
apposite direttive per la bonifica dell’ambiente e per il risanamento
di condizioni di vita.
Se non si interverrà con la massima urgenza per recuperare alcune
aree della nostra regione e se si continuerà a rinviare gli interventi
di massima urgenza ormai indispensabili, tra 10 anni – secondo gli
esperti – potremo avere raggiunto il punto di non ritorno.
Articolo pubblicato su I Siciliani giovani - giugno 2013
Nessun commento:
Posta un commento