Bastano pochi giorni di pioggia per causare catastrofi, ma la natura c’entra fino ad un certo punto. È spesso l’uomo che non ha fatto il possibile per prevenire il disastro
Saponara, nel messinese, 22 novembre 2011. Colpita da quella che oggi
gli “esperti” chiamano una “bomba d’acqua”, la collina sovrastante la
frazione di Scarcelli si trasformò in un’immensa colata di fango che
precipitando a valle travolse nella sua folle corsa case, strade, vite
umane: Luca Vinci, 10 anni, Luigi e Giuseppe Valla, 50 e 25 anni.
Ennesime vittime dell’ennesimo disastro “annuciato” che, solo in
provincia di Messina, negli ultimi tre anni ha falciato 40 persone, 37
solo a Giampilieri e Scaletta Zanclea. Infatti, era già successo, negli
stessi luoghi, nel 2007 e nel 2009. Cifre che dovrebbero far riflettere.
E non c’è differenza tra Nord e Sud, perché il Paese – dal Veneto
alla Liguria, dalla Maremma alla Sicilia – è unito dalla devastazione.
Colpito da disastri che avvengono ormai quotidianamente e che si
distinguono solo per dimensioni e distruttività sociale e richiamano
puntualmente l’attenzione dei media sul problema del dissesto
idrogeologico che, in sintesi, può essere definito come quell’insieme di
fenomeni negativi legati all’azione erosiva dell’acqua e alla natura
geologica del terreno.
L’Italia è un paese vulnerabile dal punto di vista idrogeologico,
poiché si tratta di un territorio prevalentemente montuoso, fatto di
rocce poco compatte e poco resistenti all’erosione.
Secondo un rapporto del ministero dell’Ambiente e della tutela del
territorio sulla pianificazione territoriale provinciale e rischio
idrogeologico, il 7,1% della superficie nazionale risulta a potenziale
rischio idrogeologico più alto (21.504 km quadrati, di cui 13.760 per
frane e 7.744 per alluvioni).
Le cause che hanno portato al dissesto idrogeologico, provocando
perdite di vite umane e ingenti danni ambientali – la cui valutazione in
termini economici risulta sempre ardua e approssimativa – sono da
attribuire all’eccezionalità dell’evento calamitoso?
Le cause sono anche dovute alla fragilità del suolo e all’incuria da
parte dei responsabili, che nel corso del tempo non hanno eseguito le
necessarie opere di manutenzione del territorio – soprattutto nel
messinese, dove le aree collinari e montane sono state abbandonate dalla
popolazione rurale durante l’esodo agricolo.
Dopo i fatti di Giampilieri, Mario Tozzi scriveva: «È proprio un
paese bizzarro l’Italia, pensate che d’autunno piove, qualche volta a
lungo, i fiumi straripano e le tempeste mangiano le spiagge. E pensate
che, se avete costruito nel letto di un fiume, ci sono buone probabilità
che la vostra casa venga spazzata via per colpa delle alluvioni».
È troppo semplicistico quindi parlare di “maltempo killer” o di “fiume killer”, va bene solo per titolare certi giornali.
No, il “killer” è il disboscamento dei versanti collinari e montuosi,
la speculazione, la cementificazione, l’eccessivo consumo di suolo,
l’urbanizzazione diffusa e caotica, l’alterazione delle dinamiche
naturali dei fiumi, la cementificazione degli alvei, in una parola la
dissennata gestione del territorio fatta dagli enti locali.
In Sicilia i fiumi sono stati spesso coperti d’asfalto e trasformati
in vialoni. A Messina l’Annunziata “non è una strada effettiva, è alveo
torrentizio”, ricorda Gaetano Sciacca ingegnere capo del genio civile
della città dello Stretto. E tra le opere “compensative” per il Ponte il
Comune ha richiesto proprio la copertura dei torrenti Annunziata e
Pace. Corsi d’acqua spesso secchi ma che a volte scoppiano.
Come nel 1998 quando causò quattro morti. Nell’autunno 2011 – lo
stesso giorno della tragedia di Saponara – nella vicina Barcellona Pozzo
di Gotto le coperture del torrente Longano saltarono, devastando la
città e invadendo di fango le abitazioni.
«Se siamo tutti d’accordo che le coperture dei torrenti sono tra le
cause del dissesto del territorio, perché proseguire ancora su questa
strada?», chiede Sciacca.
In Italia ci sono circa 6600 comuni ad elevato rischio idrogeologico
ma si preferisce aspettare le emergenze rinunciando alle politiche di
prevenzione, quando le cifre per la prevenzione sono irrisorie rispetto a
quelle spese per fronteggiare le emergenze. L’Italia spende, infatti,
secondo uno studio del consorzio universitario del Politecnico di
Milano, oltre 2 miliardi di euro ogni anno per tamponare i danni causati
da frane e alluvioni più un miliardo e mezzo per interventi minori.
Il capo della Protezione Civile, Franco Gabrielli ha affermato che
«Servirebbero 40 miliardi in 15 anni per mettere a posto il territorio
nazionale dal punto di vista idrogeologico.»
Sembrano cifre al di sopra delle possibilità di un paese in crisi,
eppure il bilancio del Dipartimento della Protezione civile nell’era
Bertolaso era di un miliardo l’anno.
E quanto ha speso la Protezione Civile nell’era dei grandi eventi?
Michele Bonaccorsi nel suo libro Potere assoluto (Alegre 2009) ne fa
un lungo elenco: G8 La Maddalena 280-300 milioni di euro, Mondiali di
nuoto 400 milioni, progetto “newtown” 710 milioni, l’America’s Cup di
Trapani 62 milioni, Mondiali di ciclismo 2008 7 milioni, Ordinanze di
emergenza (2001-2006) 1 miliardo 489 milioni, spese di ammortamento di
mutui contratti con le Regioni per eventi calamitosi (era Bertolaso):
1,1 miliardi di euro annui, stanziamenti per l’Abruzzo sottratti ai
Fondi FAS da 2 a 4 miliardi dal 2009 al 2032, sono stati finanziati (5
milioni) persino congressi eucaristici e pellegrinaggi a Loreto.
Il 70% dei comuni è a rischio idrogeologico
Da Nord a Sud non c’è un angolo del nostro paese che non sia a rischio idrogeologico.
Nella classifica regionale, la Valle d’Aosta è prima per la presenza
di aree a rischio potenziale in rapporto alla superficie totale con 660
km2 pari al 20,2% del territorio regionale. Seguono Campania (2.253,1
km2, 16,5% del territorio regionale), Emilia Romagna (3.217,2 km2,
14,5%), Molise (615,7 km2, 13,8%), Toscana (2.709 km2, 11,8%) e Piemonte
(2.980,7 km2, 11,7%). Per le province, Lucca precede tutte le altre con
il 31% di aree a rischio potenziale in rapporto alla superficie seguita
da Parma (26,6%), Piacenza (25,9%), Caserta (24%) e Aosta (20%). Sul
fronte frane, è sempre Lucca la provincia in testa per presenza di aree a
più alto rischio potenziale, con il 23%, mentre Livorno, con il 19,3%, è
la provincia che guida le altre per il capitolo alluvioni.
Secondo un rapporto dell’ Ance, l’Associazione costruttori, la
popolazione esposta a rischio idrogeologica sarebbe pari a circa 5,8
milioni di italiani, più o meno il dieci per cento del totale.
Per il presidente dell’ordine dei geologi di Sicilia, Emanuele Doria il 75% dei Comuni siciliani è a rischio idrogeologico.
«La Sicilia è una terra giovane dal punto di vista geologico con gran
parte del territorio a carattere montuoso o collinare e con litologie
facilmente soggette a processi erosivi. Ciò comporta una naturale
propensione al dissesto del territorio che si manifesta soprattutto in
concomitanza di eventi piovosi di particolare intensità. L’allarme
maggiore si registra principalmente nella zona del messinese a causa
della conformazione del territorio e delle situazioni geologiche
presenti, come terreni affioranti molto alterati dagli agenti
atmosferici e molto attivi da un punto di vista tettonico. In parole
povere, un paesaggio formato da forti pendenze e poche aree
pianeggianti, si pensi alle zone incise dalle fiumare ad esempio».
Articolo pubblicato su I Siciliani giovani - Novembre 2012
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