Nel
2010 era diventato collaboratore di giustizia, ma in realtà
continuava a farsi gli affari "illeciti" suoi stringendo un
“pactum sceleris” con l'imprenditore organico alle cosche Tindaro
Marino
Carmelo Bisognano |
Melo
Bisognano, ex capo dei mazzarroti, costola della sanguinaria
famiglia dei barcellonesi in provincia di Messina, il 18
maggio del 2016 era stato arrestato nel corso dell'operazione
“Vecchia maniera” per una serie di ipotesi di reato. A Bisognano
venivano contestati i reati di intestazione fittizia di beni, una
tentata estorsione e soprattutto di aver stretto, tramite Angelo
Lorisco, suo uomo di fiducia, un pactum sceleris con
l'imprenditore Tindaro Marino, caratterizzato da uno scambio di
prestazioni con reciproco vantaggio.
Bisognano,
come collaboratore di giustizia, si era impegnato a rilasciare
dichiarazioni più favorevoli nei confronti di Marino, rispetto a
quelle in precedenza rese nell’ambito dei vari procedimenti che lo
riguardavano e Marino lo avrebbe aiutato a rilanciare l’attività
di un’azienda, la Ldm Costruzioni Srl, costituita dallo stesso
Bisognano attraverso dei prestanome nel 2013.
Il
processo “Vecchia maniera” e il pactum sceleris
Per
l'intestazione fittizia di beni e la tentata estorsione a Giuseppe
Torre, titolare della Torre Srl (secondo l’accusa Bisognano avrebbe
costretto il Torre a cedergli dei lavori minacciandolo di coinvolgere
suoi familiari rilasciando dichiarazioni accusatorie) Bisognano è
già sotto processo davanti al Tribunale di Barcellona Pozzo di
Gotto.
L’esistenza
del “patto” e la sua
attuazione è stata attestata dalle intercettazioni telefoniche e
ambientali tra Bisognano e Marino.
Angelo Lorisco |
È
bastato poi mettere a confronto il verbale riassuntivo delle
dichiarazioni rese dall'ex capo dei mazzarroti il 30 settembre
2015 – in presenza dei suoi avvocati, Mariella Cicero e Fabio
Repici e di Salvatore Silvestro, difensore di Marino, – e i verbali
di quelle rese in precedenza da Bisognano che avevano contribuito
alla condanna in appello dell'imprenditore e appurarne la difformità.
Il
Gip Monica Marino appurato che Bisognano ha trattato con Marino per
rilasciare dichiarazioni a quest'ultimo più favorevoli in vista del
giudizio della Cassazione per concorso esterno alla mafia e di quello
della Corte d’appello diretto al sequestro di tutti i beni, e che
queste dichiarazioni di favore le ha di seguito fatte, ha così
ordinato alla Procura, rappresentata dai sostituti Angelo Cavallo e
Vito Di Giorgio che invece avevano chiesto l'archiviazione, di
disporre l’imputazione coatta nei confronti di Bisognano, Marino e
Lorisco.
Tindaro Marino |
“Conclusivamente
‒ ha
scritto il Gip Marino ‒
può senz’altro sostenersi che Carmelo Bisognano, in ossequio ad
accordi presi in precedenza con Tindaro Marino, abbia rilasciato
false dichiarazioni sullo stesso Marino, in quanto oggettivamente
diverse da quelle rese in precedenza, assolutamente più favorevoli
in quanto ne attenuano non poco la sua responsabilità penale e ciò
al fine di conseguire un’utilità e un vantaggio di non poco
rilievo: poter iniziare a svolgere una nuova e lucrosa attività
imprenditoriale al riparo da occhi indiscreti”.
Il
nuovo reato di cui Bisognano dovrà rispondere è di “False
dichiarazioni al difensore rilasciate nell’ambito delle
investigazioni difensive”.
Le
ammissioni di Bisognano
Il
collaboratore infedele interrogato, un mese dopo gli arresti, da Di
Giorgio e Cavallo ha ammesso di “aver fatto il patto con Marino
e che questi in cambio ha acconsentito entrare come socio occulto
nella società Ldm Costruzioni Srl dietro la condizione che facessi
nuove dichiarazioni sul suo conto. È stato un grave errore e una
violazione delle regole che mi imponeva il programma di protezione.
Tuttavia, non ho detto il falso né ho cambiato versione rispetto a
quanto avessi dichiarato prima”.
Quindi,
secondo Bisognano, egli ha reso delle dichiarazioni favorevoli
davanti all'avvocato Silvestro ma non in aula, ma Silvestro le
deposita in Cassazione e Corte d'appello.
Il
filone romano di "Vecchia maniera"
In
“Vecchia maniera” è emerso anche che Bisognano grazie alla
complicità degli uomini della scorta si muoveva a suo piacimento in
località protetta, incontrando persone di Barcellona Pozzo di Gotto
(Me) e altri collaboratori di giustizia. E soprattutto aveva accesso
alla banca data della polizia.
La
Procura di Roma, per quest’ultima condotta, lo scorso 7 luglio ha
chiesto e ottenuto gli arresti in carcere, a Rebibbia, per Bisognano,
mentre ai domiciliari sono finiti due carabinieri della sua scorta,
Enrico Abbina e Diego Pistelli. I due militari infedeli
controllavano, con accessi abusivi al sistema informatico del Comando
provinciale dei carabinieri di Rieti, per conto del collaboratore
proprio Tindaro Marino.
Secondo
il giudice per le indagini preliminari, Chiara Gallo, i tre “avevano
trasformato i benefici e le garanzie di cui gode un collaboratore di
giustizia in occasioni criminogene consentendo a Bisognano di
proseguire nel proprio percorso criminale nonostante le limitazioni”.
Invece
di rispettare il codice di comportamento che impone una distanza fra
sé e la persona da tutelare, Abbina e Pistelli si prestavano a
spalleggiarlo, evitando di intromettersi durante conversazioni
sospette, incontri riservati e missioni dubbie. Ma, soprattutto,
fornendogli informazioni riservate.
“Dalle
intercettazioni emergeva ‒
si legge nell’ordinanza di custodia cautelare firmata dal Gip di
Rieti Chiara Gallo ‒
come Bisognano godesse di assoluta libertà di movimento in
ragione dei rapporti particolarmente confidenziali intrattenuti con i
componenti della scorta”.
Se
i carabinieri l’abbiano fatto per soldi o altri favori non è
ancora chiaro mentre si sa che ad aiutarli si sarebbe prestato anche
un terzo collega, ora indagato, Domenico Tagliente.
Articolo pubblicato su I Siciliani giovani
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