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lunedì 24 aprile 2017

La bomba ecologica di Mazzarrà: lo sversamento del percolato si poteva evitare?

Da quando il 5 aprile scorso abbiamo appreso la notizia dello sversamento di percolato dalla discarica di Mazzarrà non si poteva non aspettarsi il prevedibile e inevitabile corollario di polemiche politiche.
Quello che non è possibile fare a meno di chiedersi è se l'evento sia stato imprevedibile o se invece il rischio fosse già noto, e in particolar modo, se fosse noto a chi ha il dovere istituzionale di vigilare e attivarsi al fine di prevenire.
Un'interessante cronologia degli eventi che hanno preceduto il “disastro” è possibile leggerla in una relazione allegata alla delibera della Giunta regionale siciliana che ha stanziato la somma di 300.000 euro (soldi pubblici, quindi soldi nostri) presi dal fondo regionale per gli imprevisti per risolvere, almeno momentaneamente, l’emergenza.
Ma già il 24 febbraio Tirrenoambiente chiedeva alla Regione di intervenire «affermando l'imminente danno ambientale per sversamento del percolato» prodotto dalla seconda vasca della discarica.
Il 27 febbraio lo viene a sapere anche il ministero per l'Ambiente, interessato al riguardo dalla Prefettura di Messina e dalla Commissione straordinaria che amministra il Comune di Mazzarrà sciolto per mafia. Il ministero quindi chiede alla Regione «di attivarsi per adottare i provvedimenti necessari al fine di assicurare la tempestiva esecuzione delle opere idonee a garantire la gestione post-operativa della discarica secondo modalità e tempi che garantiscano la salvaguardia della salute delle persone e dell'ambiente».
Quindi sembrerebbe che, al 27 febbraio 2017, perciò un abbondante mese prima che il tappo del munnizzaro salti, gli enti preposti alla vigilanza conoscessero il rischio e la sua probabile imminenza.
Che fanno?
Cosa predispongono una volta a conoscenza del grave rischio imminente?
Il Dipartimento regionale dell'acqua e dei rifiuti convoca un “tavolo tecnico” il 9 marzo dal quale emerge che «la criticità risiedeva nella mancanza di risorse per smaltire il percolato prodotto dalla discarica».
Bella scoperta, è da quando gli hanno sequestrato il munnizzaro che dalla Tirrenoambiente fanno sapere che non hanno “risorse”.
Sempre in quel “tavolo tecnico” il Dipartimento richiede (alla Tirrenoambiente) «il progetto di chiusura della vasca 2 della discarica, aggiornato alla stato attuale, nonché delle relazioni illustranti lo stato degli impianti esistenti, i lavori e le azioni per portarli al pieno esercizio corredati da un cronoprogramma e i costi correlati».
Progetto di chiusura della discarica aggiornato allo stato attuale?
Un momento, facciamo un passo indietro.
Prima dell'intervento della magistratura che nel novembre del 2014 procedette al sequestro dell'impianto, esso era stato “bocciato” dal Dipartimento che, a seguito di un'ispezione sulle autorizzazioni, aveva disposto la revoca delle stesse e ordinato a Tirrenoambiente di presentare un progetto di chiusura e messa in sicurezza del sito volto a garantire che esso possa essere chiuso «nel rispetto della normativa ambientale e di sicurezza vigente».
Tutto questo la Regione lo chiedeva nel settembre del 2014.
Perché a marzo 2017 la Regione chiede il progetto di chiusura della discarica aggiornato allo stato attuale?
In questi quasi tre anni cosa è stato realizzato per ottemperare a quell'ordine, risalente, al 2014?
Passandoci vicino, non si notano interventi volti alla messa in sicurezza e chiusura post mortem del sito, a parte un'esile copertura in telo verde, risalente però proprio al periodo del sequestro.
Questa richiesta del Dipartimento pone un interrogativo.
Torniamo però agli eventi che hanno preceduto lo sversamento del percolato finito nel torrente e quindi nel mare.
Il 10 marzo il Dipartimento rappresenta «alla Commissione straordinaria che doveva attivare il necessario intervento essendo competente all'adozione delle disposizioni contingibili e urgenti volte ad evitare l'insorgere dei pericoli per la salute dei cittadini e per l'ambiente disponendo dei poteri necessari».
Il 22 marzo si verificano altre due circostanze importanti, come si evincono da quel documento, strettamente correlate alla gestione del percolato.
Una è che intanto il Dipartimento evidenzia come la discarica disponga «di un impianto di percolato, avente una capacità di trattamento autorizzata di 50 t/giorno, che però non è stato mai avviato stabilmente allo scopo».
Sembra ci sia di mezzo una questione di voltura delle autorizzazioni dalla Osmon alla Tirrenoambiente di cui il Dipartimento avrebbe «accertato la fattibilità qualora fossero state soddisfatte le richieste di integrazione documentale e delle motivazioni che indicevano alla richiesta di trasferimento dell'autorizzazione».
L'altra è quella relativa alla mancanza di risorse economiche in capo a Tirrenoambiente.
Come gestore di un impianto di trattamento dei rifiuti la società partecipata del comune mazzarrese ha dovuto stipulare delle polizze fidejussorie a garanzia delle attività autorizzate.
Questo perché in caso in cui il gestore non possa far fronte ai suoi obblighi, si procede all'escussione della polizza.
E, sempre il 22 marzo, il Dipartimento ha chiesto proprio «la trasmissione delle polizze fidejussorie stipulate a garanzia delle attività autorizzate».
E il 4 aprile «è stata richiesta (dal Dipartimento) alla Milano Assicurazioni Spa l'escussione della polizza per €. 103.500,00 oltre Iva (10%)».
In quello stesso giorno il Dipartimento ha anche “sollecitato” la Tirrenoambiente «a perfezionare la voltura degli impianti per mettere in funzione l'impianto di trattamento del percolato» e comunicato (alla Tirrenoambiente) «l'avvio della procedura di escussione della polizza fidejussoria».
Arriviamo così al 5 di aprile quando Tirrenoambiente comunica lo sversamento del percolato nel vicino torrente Mazzarrà, a seguito della decisione, rivelatasi poi fatale, di spegnere le pompe di sollevamento del liquido dal fondo della discarica.

I fatti accaduti sono questi, la domanda che essi pongono è: poteva essere evitato tutto questo?

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