Da quando il 5 aprile scorso abbiamo
appreso la notizia dello sversamento di percolato dalla discarica di
Mazzarrà non si poteva non aspettarsi il prevedibile e inevitabile
corollario di polemiche politiche.
Quello che non è possibile fare a meno
di chiedersi è se l'evento sia stato imprevedibile o se invece il
rischio fosse già noto, e in particolar modo, se fosse noto a chi ha
il dovere istituzionale di vigilare e attivarsi al fine di prevenire.
Un'interessante cronologia degli eventi
che hanno preceduto il “disastro” è possibile leggerla in una
relazione allegata alla delibera della Giunta regionale siciliana che
ha stanziato la somma di 300.000 euro (soldi pubblici, quindi soldi
nostri) presi dal fondo regionale per gli imprevisti per risolvere,
almeno momentaneamente, l’emergenza.
Ma già il 24 febbraio Tirrenoambiente
chiedeva alla Regione di intervenire «affermando l'imminente danno
ambientale per sversamento del percolato» prodotto dalla seconda
vasca della discarica.
Il 27 febbraio lo viene a sapere anche
il ministero per l'Ambiente, interessato al riguardo dalla Prefettura
di Messina e dalla Commissione straordinaria che amministra il Comune
di Mazzarrà sciolto per mafia. Il ministero quindi chiede alla
Regione «di attivarsi per adottare i provvedimenti necessari al fine
di assicurare la tempestiva esecuzione delle opere idonee a garantire
la gestione post-operativa della discarica secondo modalità e tempi
che garantiscano la salvaguardia della salute delle persone e
dell'ambiente».
Quindi sembrerebbe che, al 27 febbraio
2017, perciò un abbondante mese prima che il tappo del munnizzaro
salti, gli enti preposti alla vigilanza conoscessero il rischio e la
sua probabile imminenza.
Che fanno?
Cosa predispongono una volta a
conoscenza del grave rischio imminente?
Il Dipartimento regionale dell'acqua e
dei rifiuti convoca un “tavolo tecnico” il 9 marzo dal quale
emerge che «la criticità risiedeva nella mancanza di risorse per
smaltire il percolato prodotto dalla discarica».
Bella scoperta, è da quando gli hanno
sequestrato il munnizzaro che dalla Tirrenoambiente fanno
sapere che non hanno “risorse”.
Sempre in quel “tavolo tecnico” il
Dipartimento richiede (alla Tirrenoambiente) «il progetto di
chiusura della vasca 2 della discarica, aggiornato alla stato
attuale, nonché delle relazioni illustranti lo stato degli impianti
esistenti, i lavori e le azioni per portarli al pieno esercizio
corredati da un cronoprogramma e i costi correlati».
Progetto di chiusura della discarica
aggiornato allo stato attuale?
Un momento, facciamo un passo indietro.
Prima dell'intervento della
magistratura che nel novembre del 2014 procedette al sequestro
dell'impianto, esso era stato “bocciato” dal Dipartimento che, a
seguito di un'ispezione sulle autorizzazioni, aveva disposto la
revoca delle stesse e ordinato a Tirrenoambiente di presentare un
progetto di chiusura e messa in sicurezza del sito volto a garantire
che esso possa essere chiuso «nel rispetto della normativa
ambientale e di sicurezza vigente».
Tutto questo la Regione lo chiedeva nel
settembre del 2014.
Perché a marzo 2017 la Regione chiede
il progetto di chiusura della discarica aggiornato allo stato
attuale?
In questi quasi tre anni cosa è stato
realizzato per ottemperare a quell'ordine, risalente, al 2014?
Passandoci vicino, non si notano
interventi volti alla messa in sicurezza e chiusura post mortem
del sito, a parte un'esile copertura in telo verde, risalente però
proprio al periodo del sequestro.
Questa richiesta del Dipartimento pone
un interrogativo.
Torniamo però agli eventi che hanno
preceduto lo sversamento del percolato finito nel torrente e quindi
nel mare.
Il 10 marzo il Dipartimento rappresenta
«alla Commissione straordinaria che doveva attivare il necessario
intervento essendo competente all'adozione delle disposizioni
contingibili e urgenti volte ad evitare l'insorgere dei pericoli per
la salute dei cittadini e per l'ambiente disponendo dei poteri
necessari».
Il 22 marzo si verificano altre due
circostanze importanti, come si evincono da quel documento,
strettamente correlate alla gestione del percolato.
Una è che intanto il Dipartimento
evidenzia come la discarica disponga «di un impianto di percolato,
avente una capacità di trattamento autorizzata di 50 t/giorno, che
però non è stato mai avviato stabilmente allo scopo».
Sembra ci sia di mezzo una questione di
voltura delle autorizzazioni dalla Osmon alla Tirrenoambiente di cui
il Dipartimento avrebbe «accertato la fattibilità qualora fossero
state soddisfatte le richieste di integrazione documentale e delle
motivazioni che indicevano alla richiesta di trasferimento
dell'autorizzazione».
L'altra è quella relativa alla
mancanza di risorse economiche in capo a Tirrenoambiente.
Come gestore di un impianto di
trattamento dei rifiuti la società partecipata del comune mazzarrese
ha dovuto stipulare delle polizze fidejussorie a garanzia delle
attività autorizzate.
Questo perché in caso in cui il
gestore non possa far fronte ai suoi obblighi, si procede
all'escussione della polizza.
E, sempre il 22 marzo, il Dipartimento
ha chiesto proprio «la trasmissione delle polizze fidejussorie
stipulate a garanzia delle attività autorizzate».
E il 4 aprile «è stata richiesta (dal
Dipartimento) alla Milano Assicurazioni Spa l'escussione della
polizza per €. 103.500,00 oltre Iva (10%)».
In quello stesso giorno il Dipartimento
ha anche “sollecitato” la Tirrenoambiente «a perfezionare la
voltura degli impianti per mettere in funzione l'impianto di
trattamento del percolato» e comunicato (alla Tirrenoambiente)
«l'avvio della procedura di escussione della polizza fidejussoria».
Arriviamo così al 5 di aprile quando
Tirrenoambiente comunica lo sversamento del percolato nel vicino
torrente Mazzarrà, a seguito della decisione, rivelatasi poi fatale,
di spegnere le pompe di sollevamento del liquido dal fondo della
discarica.
I fatti accaduti sono questi, la
domanda che essi pongono è: poteva essere evitato tutto questo?
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