L'operazione interforze ha
interessato le province di Messina, Catania, Enna, Mantova e Cagliari
e ha portato in carcere 24 persone accusate di associazione di tipo
mafioso, concorso esterno in associazione mafiosa, trasferimento
fraudolento di valori, estorsione, detenzione illegale di armi,
esercizio abusivo di attività di gioco o di scommessa, corse
clandestine di cavalli e maltrattamento di animali e altro, aggravati
dalle modalità mafiose
“I carabinieri hanno restituito oggi
allo Stato quei beni confiscati che, grazie alla complicità dei loro
amministratori giudiziari, erano rimasti nelle mani delle cosche
messinesi. Si tratta di società e imprese, tra cui alcuni
stabilimenti balneari e numerose sale scommesse, sottratte alla mafia
già nel 2011, che continuavano ad essere gestiti direttamente –
insieme a vari ristoranti, discoteche e impianti sportivi del
capoluogo – da alcuni prestanome dei clan, garantendo ogni mese
introiti illeciti per centinaia di migliaia di euro. Noi crediamo che
il sequestro dei beni della mafia continui a rappresentare uno degli
strumenti più efficaci per il contrasto a cosa nostra, ma occorre
combattere anche l’infedeltà di quegli amministratori giudiziari,
pagati da tutti i cittadini, che rischia di vanificare gli sforzi
compiuti in questo settore”.
Così ha commentato il comandante dei
carabinieri di Messina Jacopo Mannucci l'operazione antimafia Totem,
condotta insieme alla Polizia di Stato, che ha portato all'arresto
numerosi affiliati al clan di Giostra oltre a diversi “colletti
sporchi” accusati di aver favorito gli interessi del gruppo
criminale. Sequestrati anche alcuni beni riconducibili agli indagati,
del valore complessivo di oltre 2 milioni di euro, oltre a diverse
armi da fuoco.
Cinque anni di indagini
Il duro lavoro di investigazione
condotto sin dal 2012 dai Carabinieri del Comando Provinciale di
Messina e dal 2013 dai poliziotti della Squadra Mobile, coordinati
dalla Dda di Messina, ha smascherato l’esistenza di una ramificata
struttura criminale, documentandone gli assetti organizzativi di
vertice e i ruoli svolti dai singoli associati sia nella effettiva
gestione di attività imprenditoriali intestate a prestanome, sia nel
settore delle scommesse illecite.
In particolare, l’inchiesta ha
accertato come il gruppo mafioso continuasse a gestire di fatto –
attraverso propri uomini di fiducia – due imprese già confiscate
nel 2012 (lo stabilimento balneare “Al Pilone” e la società di
distribuzione di videopoker e raccolta dei proventi del gioco
“Eurogiochi”) grazie alla complicità dell'amministratore
giudiziario, l’avvocato Giovanni Bonanno.
A un altro professionista, Antonio
D’Arrigo, era invece affidata l’effettiva conduzione della
discoteca “Il Glam” e di alcuni stabilimenti balneari (tra cui lo
stesso “Al Pilone”), tutti riconducibili alla famiglia anche se
intestati a soggetti insospettabili.
Dalle indagini è emerso anche come
alcuni appartenenti al sodalizio mafioso: Francesco Forestiere,
Carmelo Salvo, Francesco Gigliarano, Agatino Epaminonda, Carmelo
Raspante e Santi De Leo, tramite un network di imprese apparentemente
legali ma sprovviste dei requisiti prescritti per operare nel mercato
dei giochi on line, procedessero alla raccolta delle puntate e al
pagamento in contanti delle vincite ai clienti, utilizzando server
dislocati al di fuori dei confini nazionali.
L’organizzazione criminale provvedeva
poi a investire nuovamente parte degli introiti nell’acquisto di
videopoker, totem e slot-machine, che venivano a loro volta
modificati mediante l’installazione di software illegali.
I proventi illeciti derivanti dal gioco
d’azzardo e dalle scommesse clandestine venivano reinvestiti in
alcune attività di ristorazione e di intrattenimento di cui erano
intestatari Maddalena Cuscinà, moglie del boss Luigi Tibia, e altri
due affiliati Giuseppe Schepis e Luciano De Leo.
Una famiglia mafiosa intraprendente
imprenditrice, capace di di diversificare le proprie attività
criminali in diversi settori economici, tra i quali risultano la
gestione di stabilimenti balneari, rosticcerie ed una vera e propria
catena di punti internet per la raccolta e gestione di scommesse on
line illecite.
L’indole imprenditoriale di Luigi
Tibia, il boss dello Stretto
Il pericoloso clan di Giostra, poggiato
sulla violenza e sulla crudeltà e radicato non solo nell'omonimo
quartiere della città dello Stretto ma con forti legami con gli
altri gruppi criminali cittadini, era governato da Luigi Tibia,
nipote del boss in carcere Luigi Galli. Era lui a stabilire le
strategie da seguire, a impartire disposizioni agli altri associati,
a pianificare alle attività illecite partecipandovi anche
direttamente.
Nel corso delle indagini, è stato
accertato come il Tibia abbia acquisito la gestione del lido-piscina
insistente nella struttura turistico – balneare “Giardino delle
Palme” di Mortelle, per la stagione estiva 2014.
Tibia è riuscito ad estromettere altri
imprenditori nelle procedure di affidamento, turbando lo svolgimento
della gara grazie all'appoggio di Pietro Gugliotta (vice Presidente
della Società di Calcio ACR Messina, ndr), commissario liquidatore
della società cooperativa di navigazione a r.l. Garibaldi, in
liquidazione coatta amministrativa, proprietaria di due lidi balneari
esistenti presso la struttura alberghiera Grand Hotel Lido –
Giardino delle Palme. Ottenuta la concessione, Tibia la gestirà
tramite la società Tide srl.
Un altro “colletto sporco” che si è
messo a disposizione dell’associazione mafiosa guidata da Tibia è
l’imprenditore Calogero Smiraglia, detto Carlo, che, come hanno
dimostrato le indagini, tramite le proprie attività e risorse
economiche, ha permesso il reimpiego del denaro di provenienza
illecita, compiendo acquisti di beni per attività gestite da Tibia
tramite interposta persona, rendendosi disponibile ad assumere il
personale segnalato da Tibia, ricevendone protezione da pretese
estorsive e rapine, intervenendo in suo favore per l’apertura di
conti correnti presso istituti di credito, prestandosi ad effettuare
liberatorie, nell’interesse del boss, concernenti assegni
rilasciati da uno degli indagati, finanziando le scommesse relative
alle corse clandestine dei cavalli, prendendo parte ad incontri nei
quali si discuteva di occultamento di armi nella disponibilità del
clan, partecipando ad iniziative di natura estorsiva attraverso le
quali il clan assumeva il controllo di attività economiche delle
quali egli beneficiava.
L'ippodromo Messina
Grazie alle indagini di Totem è stato
inoltre possibile stabilire un diretto rapporto, sinora mai acquisito
processualmente, tra l’organizzazione delle corse di cavalli
clandestine e la raccolta delle scommesse da parte
dell’organizzazione criminale di Giostra.
Tibia ed i suoi associati sono infatti
accusati di aver organizzato ed effettuato più corse clandestine di
cavalli sulle strade cittadine, con relative scommesse, sottoponendo
i disgraziati animali a fatiche indicibili, mettendone in pericolo
l’integrità fisica, a causa della somministrazione incontrollata
di trattamenti farmacologici e dell’utilizzo di percorsi impropri
(strade pubbliche asfaltate, caratterizzate dalla rigidità della
superficie e dall’interferenza con il traffico veicolare), nonché
per la contestuale presenza, a ridottissima distanza, di un elevato
numero di auto e motoveicoli.
Il gruppo di Giostra, avvalendosi del
metodo mafioso, prendeva i contatti con i gruppi sfidanti, stabiliva
le modalità delle competizioni, i luoghi in cui disputarle ed il
denaro da scommettere.
Le indagini hanno anche fatto luce
sull’operatività del clan nel settore del gioco e delle scommesse,
con la gestione, in assenza di alcuna concessione e autorizzazione,
di diverse sale giochi, punti internet, circoli ricreativi, dove
venivano piazzate attrezzature per il gioco e le scommesse on line,
operando su siti inibiti dai Monopoli di Stato.
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