Foto di Enrico Di Giacomo |
«La mafia dei Nebrodi, secondo la nostra analisi – ha dichiarato il procuratore capo di Messina Guido Lo Forte – è una mafia non più divisa all'interno. È superata la storica distinzione tra tortoriciani e batanesi che appartiene alla storia della mafia della provincia di Messina.
Una mafia che si sta compattando – continua –, che non subisce più da qualche tempo il condizionamento prima egemonico della mafia barcellonese.
È quindi – conclude – una mafia che è in rapporti diretti, crescendo di ruolo e crescendo di livello, con, a seconda degli affari di cui si tratta, la 'ndrangheta e con la mafia catanese, con la quale ha dei rapporti storicamente consolidati determinati dalla configurazione del territorio».
L’indagine è partita in seguito all'arresto, nell’aprile 2013, di quattro giovani tortoriciani, effettuato da personale del Commissariato di P.S. di Capo d’Orlando, durante un tentativo di estorsione ai danni di un nightclub nel centro paladino.Nel corso delle prime intercettazioni era emerso che il nuovo boss di Tortorici, la persona in cui in quel momento bisognava fare riferimento, era Antonio Foraci detto “U calabrisi”.
Le successive indagini dei poliziotti di Capo d’Orlando, coordinate dalla Dda di Messina, attraverso una complessa attività di intercettazioni telefoniche e ambientali, hanno evidenziato come un gruppo di tortoriciani fossero dediti a chiedere il pizzo per conto del clan Bontempo Scavo e allo spaccio di droga nel centro oricense, portando alla luce l’esistenza di una struttura mafiosa pienamente operativa nel territorio nebroideo, tanto da collaborare con la potente famiglia Nirta-Strangio della ‘ndrangheta calabrese.
Tale struttura operativa faceva capo a Antonio Foraci, già noto alle forze dell’ordine e organico dei Bontempo Scavo, affiancato dalla moglie Calogera Rina Costanzo, dal figlio Cristian Foraci e dal sodale Giovanni Montagno Bozzone, operava sul territorio, mantenendo saldi contatti con altri appartenenti alla medesima associazione mafiosa, sia in libertà (Giuseppe Sinagra detto “finestra”) che detenuti (Massimo Salvatore Rocchetta), portando a termine estorsioni in danno di commercianti e imprenditori, avvalendosi della forza intimidatrice del vincolo mafioso.
Sia gli stretti rapporti del Foraci con Rocchetta, come l’investitura ricevuta dai giovani Bontempo Scavo, vengono ritenuti "elementi univoci e concludenti", sia sul ruolo associativo che sulla crescita del ruolo di Foraci che diviene, dopo la scarcerazione, pedina fondamentale dell’associazione, come si evince dall'intensa attività criminale, dalla rete dei contatti e dai propositi di armare il gruppo. Foraci viene a costituire un punto di riferimento, operativo anche tramite il figlio all’esterno, in una struttura dedita al pizzo e allo spaccio di stupefacenti, con una serie di affiliati organici stabili che ne condividono il progetto.
I legami tra Foraci ed esponenti di spicco della locale criminalità mafiosa appariva chiaro fin dall’avvio delle intercettazioni operate presso la propria abitazione.
È emersa la necessità per il nuovo capo dei tortoriciani di trovare un canale sicuro di comunicazione con il carcere di Messina, attraverso il quale far pervenire messaggi ad un detenuto. Foraci veniva intercettato proprio mentre era intento, insieme al figlio Cristian e alla moglie Rina, a scrivere una lettera indirizzata al detenuto Massimo Rocchetta per informarlo di vicende di interesse dell’associazione mafiosa e chiederne l’intervento risolutore, attraverso i contatti con altro detenuto, appartenente alla famiglia calabrese Nirta Strangio.
Lo scambio di corrispondenza successivo era imperniato su un'estorsione da compiersi a danno di una ditta di Sant’Agata di Militello che effettuava lavori sia in Calabria che in Sicilia. In altre circostanze, invece, i due intrattenevano corrispondenza relativa ai canali di approvvigionamento di stupefacenti.
Nella organizzazione del modus operandi delle richieste estorsive, Foraci impartiva precise istruzioni al figlio Cristian e a Giovanni Montagno Bozzone, raccomandando loro di fare presente alle vittime che era lui il soggetto cui fare riferimento per la raccolta dei soldi. Questi costringevano quindi gli imprenditori a consegnare il denaro sotto la minaccia, anche implicita, derivante dall’appartenenza alla associazione mafiosa operante nel territorio di Tortorici, così sottintendendo e prospettando l’eventualità di attentati.
Ed è proprio nel campo delle estorsioni che il Cristian Foraci vuole dimostrare al padre il suo spessore criminale. Durante un colloquio intercettato il Cristian si vanta che, durante la detenzione del padre, ha costretto un commerciante a corrispondergli la somma di 1.000 euro.
In un’altra intercettazione, dopo un rifiuto di pagamento, si sente Foraci dire al figlio di recarsi nuovamente presso quell’attività commerciale e dargli un vero e proprio ultimatum “gli devi dire: fino a stasera ho tempo, poi non ne ho più”. Padre e figlio decidevano in seguito di prendere di mira l’autovettura della vittima, qualora questa avesse manifestato ulteriore resistenza alle richieste di denaro. La pressione alla fine dava effetto e il commerciante consegnava la somma di denaro richiesta.
Le estorsioni, consumate o tentate, consistevano sia nella materiale consegna di somme denaro sia nella richiesta di attività lavorative per i familiari.
Sono state inoltre sequestrate consistenti le quantità di sostanze stupefacenti, in particolare cocaina e marijuana. La coca, veniva trasportata anche a bordo di un bus di linea che da Messina va a Tortorici.
Nel corso delle indagini, infine, sono emerse, anche diversi progetti di rapine ai danni di commercianti locali che però non sono state portate a compimento.
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