ARO comunali, danni patrimoniali e le
tasse per i cittadini
Il mancato rispetto degli obiettivi di
legge in materia di raccolta differenziata, si configura come danno
patrimoniale per i cittadini per l’aumento delle tasse, a dirlo è
la Corte dei Conti della Liguria (83/13), che li definisce come
“inerzia qualitativo e quantitativo del servizio di raccolta
differenziata”, come grave trascuratezza nella “cura
dell'interesse pubblico” che configurano “la sussistenza di
responsabilità amministrativo-contabile”.
Gli ultimi dati sulla gestione dei
rifiuti in Italia ci indicano che qualcosa sta cambiando anche nelle
regioni del Sud: la Campania e la Sardegna si attestano al 50% circa
di raccolta differenziata.
Secondo il professor Aurelio Angelini,
docente di sociologia dell’ambiente all’Università di Palermo,
la Sicilia rimane ferma al 10%, «per inerzia e responsabilità
politica dei diversi governi regionali che si sono succeduti negli
ultimi vent’anni, che hanno operato in modo clientelare e
parassitario, favorendo un sistema criminogeno, che ha impedito la
realizzazione di un “moderno sistema industriale del ciclo dei
rifiuti”, relegando la gestione: all’uso e all’abuso delle
discariche (90% dei rifiuti), gestite perlopiù in modo
ambientalmente insostenibile».
Un disastro che è stato reso possibile
– per il docente palermitano – per «la “complicità” della
maggioranza delle amministrazioni comunali, che hanno utilizzato la
loro presenza, nella qualità di soci delle Società d’ambito per
la gestione dei rifiuti, per nominare alla guida delle aziende
pubbliche, onerosi amministratori e management incompetente dalla
spesa facile e fuori controllo. Assunzioni, comandi, consulenze,
sponsorizzazioni, hanno caratterizzato una gestione che ha fatto la
fortuna politica di sindaci e amministrazioni e ha prodotto “finora”
un debito di quasi “due miliardi”, che continua a crescere giorno
dopo giorno, che pagheranno le amministrazioni comunali attraverso
l’aumento delle imposte sui rifiuti».
Solo in alcuni comuni si è riusciti,
attraverso l’applicazione di “buone pratiche”, a raggiungere
risultati incoraggianti nella raccolta differenziata e nella qualità
della pulizia urbana.
«In Sicilia siamo in presenza di un
danno patrimoniale di vaste dimensioni – prosegue Angelini –, a
causa del mancato rispetto degli obiettivi di legge per la mancata
raccolta differenziata e per l’omessa applicazione dell’art. 205,
D.Lgs 152/2006, che stabilisce un tributo pari al 20% “per il
conferimento in discarica, per quei comuni che non abbiano raggiunto
le percentuali previste”. Inoltre, non vengono rispettati i limiti
ambientali di legge per l’ingresso dei rifiuti in discarica, per i
quali i comuni pagano un’addizionale per il pretrattamento, che non
viene in toto o in parte effettuato».
Secondo quanto denunciato dal professor
Angelini, tanti comuni – tra queste anche le grandi città –
«continuano a stipulare contratti di servizio difformi dalla legge,
che non prevedono l’obbligo del raggiungimento degli obiettivi
della raccolta differenziata, le penalità ed altri vincoli
ordinamentali».
«Il comatoso sistema siciliano
viaggia verso l’implosione».
E l’analisi è ancora più impietosa
se si va a guardare al futuro della gestione dei rifiuti così come
prevista dalla riforma sancita con la legge regionale 9 del 2010 che
ha istituito le Srr (Società regolamentazione rifiuti) e gli Aro
(Ambito di raccolta ottimale).
Di questi ultimi ne sono stati finora
autorizzati dalla regione più di 200, in base – secondo Angelini –
ad una fantasiosa interpretazione giuridica della legge regionale
3/2013, che però, non prevede gli Aro.
La norma fu voluta dal presidente
Crocetta per consentire ai comuni di “riappropriarsi” della
gestione dei rifiuti, come reazione alla disastrosa, costosissima e
fallimentare gestione delle “Società d’ambito” (i famigerati
Ato, ndr), che nel 2002 erano subentrate ai comuni nella
gestione dei rifiuti. L’obiettivo della riforma era di dare ai
sindaci i poteri necessari per approntare idonee iniziative. Ma il
modo con il quale si sta applicando questa norma, rischia di
provocare altri danni patrimoniali e gestionali».
La legge regionale attraverso la quale
vengono istituiti gli Aro, un unicum in Italia, è in contrasto con
la normativa nazionale ed europea e stabilisce che i comuni possono
provvedere a dotarsi di “piani di raccolta”, a condizione che
siano “coerenti con il piano d’ambito della Srr” e redatti in
base agli obiettivi di legge. Inoltre, secondo la norma, le attività
dell’Aro non dovranno comportare nuovi oneri per il comune.
I piani di raccolta sono stati
formulati dai comuni, senza che la regione abbia stabilito prima, i
vincoli tecnici ed economici, le linee guida regionale per la
raccolta differenziata, gli impianti adeguati, sufficienti e di
prossimità territoriale; con il rischio di compromettere la
possibilità di dare un governo unitario, efficiente ed
economicamente sostenibile, per quantità e qualità dei rifiuti
raccolti in modo da attivare il ciclo economico del riciclo.
«Rimane un “mistero” - conclude
Angelini – l’approvazione dei piani di raccolta degli ARO, in
mancanza dei “piano d’ambito” al quale dovevano adeguarsi,
visto che le SRR non li hanno mai approvati. L’altro mistero è
l’approvazione dei piani finanziari presentati dai comuni che
identificano come oneri per la gestione dei rifiuti, i soli costi del
piano dell’ARO, mentre in realtà, dovranno sostenere anche la
quota di partecipazione alle Srr per i servizi che erogheranno e gli
oneri relativi al debito delle Società d’ambito in liquidazione.
Queste tre voci concorrono a definire l’effettivo impatto nel
bilancio dei comuni, che pagheranno i cittadini, attraverso l’imposta
comunale, a cui va aggiunta la stangata prevista dal decreto legge n.
78/2015, che stabilisce a partire da quest'anno, tra le componenti di
costo della tassa sui rifiuti, i mancati ricavi della tassa sui
rifiuti, relativi a crediti risultati inesigibili con riferimento ai
precedenti “regimi”. Per avere un ordine di grandezza, basti
calcolare l’impatto dell’evasione in Sicilia è di quasi il 50%
delle cartelle emesse (950 milioni da riscuotere, solo 500 milioni
circa viene riscosso)».
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