Il sostituto procuratore Mirko Piloni della Procura di
Barcellona Pozzo di Gotto ha chiesto il rinvio a giudizio per venti persone per
il disastro ambientale della discarica di Tripi.
La storia assume contorni precisi agli inizi degli anni 2000
quando i “problemi” dei rifiuti di Messina non erano stati risolti dall’utilizzo
del sito di Mazzarrà sant'Andrea (prima degli ampliamenti del 2007 e del 2009), rivelatosi
insufficiente per le esigenze di una città di 260mila abitanti e praticamente
impossibile da raggiungere nei giorni di maltempo. Di conseguenza vennero
avviati i lavori per la creazione di una seconda discarica sub-comprensoriale a
Tripi.
Il trasferimento dei rifiuti messinesi nel paesino dei
Nebrodi culla dell’antica Abakainon iniziò nel maggio del 2002 con la
sottoscrizione di un protocollo d’intesa tra il comune montano e Messinambiente
che si sarebbe occupata della gestione della discarica e del successivo
risanamento ambientale post mortem, poi trasferita alla Tirrenoambiente.
Contrada Formaggiara tuttavia si esaurì rapidamente, oltre a
Messina infatti venne utilizzata da altri comuni della provincia, e chiuse i
battenti nell’ottobre del 2003 lasciandosi alle spalle una pesante eredità.
Nel 2012, a distanza di dieci anni dalla sua chiusura,
un’indagine della Procura di Barcellona P.G. ha accertato che la realizzazione
della discarica di contrada Formaggiara avvenne violando la normativa
ambientale del 1984. Coinvolti amministratori pubblici – Giuseppe Aveni e Giuseppe
Carmelo Sottile attuale ed ex sindaco di Tripi –, tecnici, geologi, funzionari
comunali, imprenditori del settore, tra cui ritorna – ancora una volta – il
nome del “barone” Michele Rotella, esecutore materiale delle opere grazie alla
“sponsorizzazione” del boss Bisognano.
L’inchiesta ruota essenzialmente intorno a due ipotesi di
reato: a imprenditori e gestori del settore smaltimento quella di aver
realizzato il secondo modulo della discarica in maniera irregolare, in un sito
non a norma, provocando così il disastro ambientale della discarica,
praticamente collassata.
Disastro ambientale, fin dal 2003, l'accusa più grave mossa
dagli inquirenti. Non fu scelta l'area adatta (realizzata ad altezza superiore
a 600 metri sul livello del mare), non si tenne in conto né la falda presente
né l'azione dei forti venti della zona, e non fu previsto un sistema di
impermeabilizzazione della vasca di raccolta del percolato che − affiorato dal
fondo dell’invaso − durante l'esecuzione dei lavori di “messa in sicurezza”
veniva invece convogliato in un pozzetto di raccolta delle acque piovane che
andavano a finire direttamente nellʼalveo del vicino torrente Tallarita.
Ai dirigenti e tecnici pubblici viene invece contestata
l'omissione di atti d'ufficio, per non aver controllato che i lavori fossero
stati realizzati a dovere.
Il gup Sara D'Addea deciderá all'inizio del prossimo
dicembre.
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