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venerdì 13 giugno 2014

Zero Waste Sicilia: perché dire no alla centrale a biomasse di Furnari

In un documento, depositato agli atti del Comune di Furnari questo pomeriggio, l’associazione Zero Waste Sicilia presenta le ragioni ambientali, economiche, scientifiche, giuridiche e di opportunità, di carattere generale e particolare, per le quali il progetto di una centrale a biomasse in contrada Maraffino, nel comune di Furnari non deve essere autorizzato, nell’interesse della cittadinanza, del territorio e del suo sviluppo sostenibile.
Nel corposo testo (68 pagine tra relazione e allegati), redatto dal professor Beniamino Ginatempo, ordinario di fisica all’Univerità di Messina e presidente di ZWS, vengono evidenziate alcune carenze progettuali alla luce dei più recenti ed assodati fatti scientifici, puntualizzati i punti deboli del progetto e suggerite possibili alternative all’incenerimento delle biomasse.
In sintesi le argomentazioni di ZWS illustrano esaurientemente l’insostenibilità dell’incenerimento delle biomasse per la produzione energetica e alcune criticità di questo progetto. Elencando:
  1. Non è dimostrato che è possibile alimentare la centrale con il necessario quantitativo minimo compreso fra le 14.000 e le 16.000 tonnellate l’anno, con cippato tutto proveniente da filiera corta. L’impresa dovrebbe produrre degli atti in cui risulti garantito l’impegno annuale dei fornitori e per tutti i 20 anni dell’esercizio previsto, a tale fornitura.
  2. In assenza del contemporaneo smantellamento di altri impianti analoghi in zona, si configura una violazione della Direttiva 96/62/CE sulla gestione e qualità dell’aria ambiente dei paesi dell’Unione Europea, recepita in legge con il Dlgs 351/99, in quanto viola il principio di dover mantenere la qualità dell'aria ambiente, laddove è buona, e migliorarla negli altri casi (comma 1d)
  3. La centrale non emetterà solo polveri, CO, NO2 e SO2, come previsto dalla tabella di pag. 5 della relazione tecnica sulle emissioni del progetto esecutivo, ma si è dimostrato, mediante la presentazione di studi e misurazioni largamente condivisi dalla comunità scientifica internazionale, che la combustione del legno produce numerose altre sostanze tossiche e cancerogene: benzene, formaldeide, idrocarburi policiclici aromatici (IPA), diossine, furani, policloribifenili, ecc.
  4. Non regge la tesi che le emissioni totali siano limitate in ragione della limitata potenza dell’impianto, in quanto gli inquinanti persistenti emessi hanno tempi di vita nell’ambiente enormi rispetto ai tempi di decomposizione dei cicli naturali. Ciò aumenta a dismisura la probabilità che finiscano nella catena alimentare, con seri rischi per la salute della popolazione.
  5. Manca uno studio LCA per il bilancio dei gas serra e dell’energia prodotta, ancorché non obbligatorio per legge ma istruttivo per valutare correttamente l’impatto ambientale. In tale studio va altresì conteggiato il vantaggio di non immettere anidride carbonica nell’atmosfera ma di reimmettere nel suolo il carbonio tramite pratiche di compostaggio.
  6. Nonostante gli incentivi statali, la convenienza economica sembra potersi giustificare solo con una conversione in corso di vita dell’impianto a non precisate altre attività. Tale ipotesi è esplicitamente non esclusa dal progetto esecutivo, quindi ritenuta possibile. L’esperienza di situazioni analoghe è stata la trasformazione della centrale in inceneritore di rifiuti, ovvero nell’incenerimento di biomasse commestibili o nell’acquisto di legname e/o altre biomasse da fornitori lontani, anche dall’estero, anche dal Brasile, con buona pace degli incentivi per biomasse a km 0.
  7. Non è chiaro l’uso della energia termica prodotta, la qualcosa abbassa grandemente il rendimento energetico della centrale stessa, producendo un elevato sfrido di energia, quindi un più elevato inquinamento. In particolare non ci pare che l’uso del calore prodotto per essiccare il cippato possa essere inteso quale co-generazione.
  8. Nulla viene detto riguardo all’inquinamento elettromagnetico dell’elettrodotto e delle centraline di raccordo per il collegamento con la rete elettrica nazionale.
  9. Nulla viene detto riguardo alla produzione di ozono, nocivo per l’agricoltura.
  10. Non è chiaro come avverrà lo smantellamento a fine vita dell’impianto, a carico di chi saranno queste spese e se verranno accantonati dei fondi per lo smantellamento nel piano economico della azienda.
  11. Non è noto il piano industriale.
  12. È molto più sostenibile una gestione diversa del combustibile proposto, il cippato di legna, ovvero la realizzazione di impianti di compostaggio aerobico, e/o di biodigestione anaerobica quest’ultimo finalizzato alla produzione di compost e di biometano per gli autoconsumi, per l’autotrazione comunale ovvero per la sua immissione nella rete nazionale.
Un ultima considerazione sull’opportunità della sede. Anche se non fosse violato il Dlgs 351/99 sulla tutela dell’aria, e tutte le altre emissioni fossero nei limiti di legge, vale purtroppo la seguente constatazione. I limiti sulle emissioni gassose degli impianti industriali sono elaborati sulla base del principio di precauzione. Tuttavia tali limiti sono fissati nella ipotesi che l’impianto in esame sia il solo ad emettere sostanze potenzialmente nocive in un dato territorio. Questa è purtroppo una grave (l’ennesima) lacuna della legislazione italiana su questioni ambientali. Infatti nulla viene prescritto quando nello stesso territorio insistono più di un impianto e più di un fattore di rischio concomitanti. Il vicino esempio della Valle del Mela è altamente istruttivo: tanti impianti tutti a norma (alcuni in deroga), quindi apparentemente tutto legale, ma pure tante malattie orribili e tassi di neoplasie ben più grandi delle medie nazionali. A Furnari, data la vicinanza della terza discarica siciliana, di un impianto che emette entro i termini di legge non se ne sentiva affatto il bisogno.

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