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mercoledì 2 novembre 2011

Il business delle discariche: stato attuale e prospettive per il futuro

Lunedì 24 ottobre presso la chiesa dei Cappuccini in Roccavaldina (ME) si è tenuto un convegno sulla gestione del territorio. Sono stato invitato dall'organizzatrice, Prof. Graziella Paino, a intervenire sulla materia dello smaltimento dei rifiuti in discarica e sulla raccolta differenziata. Di tale convegno si è potuto leggere un breve articolo sulla Gazzetta del Sud di lunedì 31 ottobre. Di seguito il testo integrale del mio intervento.

Non c’è stato un momento in cui, negli ultimi vent’anni, i rifiuti hanno smesso di essere “business, business, business”, per chiunque abbia voluto buttarcisi dentro.
La fetta d’affari si aggira tra i 250 e i 350 milioni all’anno. Ma visto nel complesso, il business previsto potrebbe attestarsi tra 1,5 e 2,1 miliardi. E chi ci guadagna?
Ebbene, andando a vedere le 27 discariche siciliane previste dal piano regionale dei rifiuti, 16 sono in mano pubblica, mentre le restanti se le spartiscono società private e miste.
Se si guarda, però, alle relative capacità d’abbancamento, allora ci si accorge che i privati potranno ricevere e smaltire circa il 75 per cento dei rifiuti prodotti nell’Isola. Aggiudicandosi, in sostanza, i tre quarti del business.
In testa ai “signori dei rifiuti”, stando alle autorizzazioni fin qui accordate, c’è il gruppo Catanzaro: tra la discarica che gestisce oggi, quella di Siculiana nell’Agrigentino, e l’impianto che dovrebbe costruire ad Assoro nell’Ennese (sul quale lo stesso Catanzaro ha annunciato il ritiro dopo le forti proteste della comunità locale), il gruppo potrebbe gestire qualcosa come 3,4 milioni di tonnellate di rifiuti.
A ruota, segue l’Oikos della famiglia catanese Proto, che con la discarica di Motta Sant’Anastasia ha avuto l’autorizzazione a smaltire fino a 2,1 milioni di tonnellate. Sul terzo gradino del podio, c’è una società mista, la Tirrenoambiente, che tra la discarica di Mazzarrà Sant’Andrea e quella di Pagliara (entrambe nel Messinese) ha ottenuto la possibilità di ricevere rifiuti fino a 1,6 milioni di tonnellate.

L’Isola in discarica

È necessario a questo punto prendere in esame alcuni dati per capire la dimensione del fenomeno delle discariche dei rifiuti solidi urbani in Sicilia e nei comuni della provincia di Messina.
Dalla lettura del rapporto annuale sui rifiuti elaborato dall’ISPRA (Istituto Superiore per la Protezione e la Ricerca Ambientale), emerge che siamo ancora discarica-dipendenti.
Secondo i dati del 2009 in Sicilia sono stati prodotti 2.601.798 tonnellate di rifiuti (2.650.441 tonnellate nel 2008), mentre la produzione pro capite (con popolazione di 5.042.992) è stata di 526 kg nel 2008 e 516 nel 2009.
La percentuale di raccolta differenziata dei rifiuti negli ultimi cinque anni è aumentata di poco: 5,7% nel 2005, 6,6% nel 2006, 6,2% nel 2007, 6,7% nel 2008 e 7,3% nel 2009. Ma anche laddove la quota dovesse aumentare, non avremmo dove mettere plastica, carta e umido perché mancano centri di raccolta, isole ecologiche e perfino i cassonetti, nonostante i miliardi di euro investiti da Regione, province e comuni, nonostante il lauto sversamento di fondi europei. E così, tutto va in discarica per poi finire direttamente sottoterra, visto che nell’intera regione esistono solo due impianti di pretrattamento.
Mentre nel 2007 la produzione siciliana di RSU (2.742.000 tonnellate) è finita per il 93% in discarica (2.695.000 tonnellate), nel 2008 questa quota ha riguardato 2.355.000 tonnellate (l’89%) e nel 2009 2.300.000 tonnellate (l’88%).

La situazione nella provincia di Messina

Lo smaltimento dei rifiuti urbani prodotti in provincia di Messina avviene, attualmente (2011), utilizzando unicamente la discarica di contrada Zuppà nel territorio del Comune di Mazzarrà S. Andrea. L’impianto, gestito dalla società mista (con capitale pubblico al 51% e privato al 49%) Tirrenoambiente, serve 91 comuni appartenenti alla quasi totalità degli ATO messinesi (ATO ME1, ME 2, ME 3, ME 5) e all’ATO PA 5.
La discarica di Mazzarrà nel 2009 ha smaltito 261.093 tonnellate di rifiuti, di cui 251.259 tonnellate urbani, 336 tonnellate di fanghi prodotti dal trattamento delle acque reflue urbane (CER 190805) e 9.498 tonnellate di altri rifiuti solidi.
Complessivamente la provincia di Messina produce oltre 300.000 tonnellate all’anno di rifiuti, che non vengono biostabilizzati, e sono smaltiti “tal quale” nell’unica discarica di Mazzarrà. La raccolta differenziata è a livelli molto bassi, anche per l’assenza di impianti di compostaggio: nel 2009, in media, si è attestata intorno al 4,62%, (registrando una leggera flessione rispetto al 2008 quando era del 4,7) e al 3,3% per la sola città di Messina.

Il livello raggiunto dalla raccolta differenziata nell’ATO ME 2

Il Piano di gestione dei rifiuti prevedeva che tutti i Comuni della Regione siciliana dovevano attuare la raccolta differenziata monomateriale o multimateriale utilizzando per quest’ultima contenitori separati per vetro e carta e un contenitore unico per plastica, legno e metalli.
Gli obiettivi di raccolta da raggiungere, in percentuale sul totale, erano stati definiti nel 15% (entro dicembre 2003), 25% (entro dicembre 2005) e 35% a regime.
Le indicazioni del suddetto piano sono state solo parzialmente attuate ed i dati relativi alla raccolta differenziata nella Regione Siciliana, riportati nel rapporto rifiuti 2010, evidenziano il raggiungimento di una percentuale di RD pari ad appena il 7,3% nell’anno 2009.
Tra i motivi del ritardo nella crescita della RD va citata la mancata piena osservanza delle linee-guida da parte dei Enti attuatori.
La raccolta differenziata nell’ATO ME 2 si aggira intorno al 3,62% (dati 2008).
Nonostante le cospicue risorse investite dalla società d’ambito (l’ATO ha presentato progetti per l’attivazione di un sistema premiale per i cittadini che effettuano la raccolta differenziata) per promuovere e incrementare la raccolta differenziata i risultati sono stati deludenti e sotto gli occhi di tutti. Ma si è trattato solo di inefficienza e incompetenza dei vertici societari o, ipotesi ben più grave, di una disfunzione organizzata come dice la Commissione parlamentare d’inchiesta sui rifiuti. Organizzata a vantaggio di chi? A questa domanda, la Commissione non dà una risposta diretta.
Al riguardo un interessante spunto di riflessione lo suggerisce quanto riportato in un dossier sulla gestione dei rifiuti nel nostro territorio redatto a cura di Legambiente Sicilia.
«Sono tante le segnalazioni che giungono a Legambiente da tanti cittadini i quali considerano la raccolta differenziata attuata negli Ato Me 1 e Ato Me2 assolutamente inefficiente, e per certi versi una beffa, poiché – sempre secondo tali segnalazioni – accadrebbe che i rifiuti raccolti separatamente riposti negli appositi contenitori finirebbero per confluire negli autocompattatori assieme a quelli indifferenziati.
A riguardo, il Comma 1, articolo 226 (Divieti) del D.L.gs n. 152/2006 vieta “lo smaltimento in discarica degli imballaggi e dei contenitori recuperati, ad eccezione degli scarti derivanti dalle operazioni di selezione, riciclo e recupero dei rifiuti di imballaggio”.
Per tale comportamento sono previste precise sanzioni al Comma 3, articolo 261 (Imballaggi) del D.L.gs n. 152/2006.
Ma oltre a rappresentare un illecito, lo smaltimento in discarica dei rifiuti raccolti separatamente induce i cittadini ad abbandonare la pratica della raccolta differenziata, poiché la considererebbe inutile.
I dati, del resto, sembrano dimostrare questa progressiva disaffezione dai comportamenti virtuosi che innesca un aumento dei costi.»
Quindi, secondo il dossier di Legambiente, differenziato e indifferenziato finirebbe tutto nella discarica di Mazzarrà. Discarica che ogni anno ingloba 260 mila tonnellate di rifiuti.
Ora non è un mistero che tra i soci privati della società proprietaria della discarica di Mazzarrà c’è anche la Gesenu che ne è il secondo azionista privato con il 10% delle azioni.
Ma la Gesenu non era quella società che fino al 2010 ha gestito la raccolta dei rifiuti per conto dell’ATO ME 2?
Ecco la particolarità: la Gesenu veniva pagata dall’ATO per il servizio di raccolta dei rifiuti.
Rifiuti che poi trasportava alla discarica di Mazzarà S. Andrea gestita dalla Tirrenoambiente quindi anche da se stessa.
Se la Gesenu che raccoglieva i rifiuti avesse effettuato la raccolta differenziata ciò avrebbe comportato un minore afflusso di rifiuti in discarica. Quindi la Tirrenoambiente, che gestisce la discarica di Mazzarrà, quindi la anche la Gesenu, avrebbero incassato di meno.
In altre parole, la Gesenu è una di quelle società tutto fare che gestiscono l’intero ciclo dalla raccolta, al trasporto fino allo smaltimento finale. Un sistema molto redditizio poiché permette di guadagnare in ogni fase di gestione dei rifiuti.

Andare oltre le discariche

Risulterà evidente a chiunque non ragioni con la logica del profitto, che una discarica è un modo per chiudere gli occhi davanti al problema dei rifiuti, è una indicazione di totale indifferenza e disprezzo per il futuro del prossimo e di se stessi, ma soprattutto è uno spreco di preziosissime risorse che vanno perdute per l’esclusivo tornaconto dei pochissimi che lucrano sulla gestione dei rifiuti.
Sono convinto che il tema dei rifiuti sarebbe quello in assoluto più semplice da affrontare e risolvere se solo ci fosse la volontà politica di farlo, dal momento che esistono soluzioni già ampiamente praticate e non c’è nulla da inventare.
La prima, fondamentale, operazione da fare è di tipo culturale: occorre riconsiderare il concetto stesso di rifiuto, da non intendersi più come qualcosa di negativo di cui liberarsi, ma da concepire come un bene che, esaurita la sua funzione, va poi recuperato per rientrare in un ciclo vitale e produttivo garantendo la massima efficienza, lasciando che la discarica assorba quote sempre minori tendenti idealmente allo zero.

Dal punto di vista tecnico, il problema rifiuti si può affrontare agendo in parallelo su vari fronti (5 R):
- minore quantità di scarti, modificando le produzioni industriali (riduzione);
- raccolta differenziata;
- riutilizzo integrale delle frazioni differenziate;
ma soprattutto considerando il rifiuto una risorsa.

Riduzione

Si dice sempre che prevenire è meglio che curare e questo principio più che mai vale anche per i rifiuti.
Spesso alcuni oggetti diventano rifiuti prima ancora di essere consumati. In molti casi, nella nostra società i rifiuti hanno un ciclo di vita brevissimo, ad esempio gli imballaggi dei prodotti acquistati appena arriviamo a casa, dopo aver fatto la spesa, finiscono subito nell’immondizia. La riduzione dei rifiuti riguarda quindi, prima dei consumi, gli aspetti della produzione e della distribuzione delle merci, il cui marketing di vendita è legato al confezionamento dei prodotti.
Nel caso specifico dei RSU, la normativa europea parte proprio dalla R di riduzione della produzione e della pericolosità dei rifiuti puntando sulla riduzione degli imballaggi (in vetro, plastica, carta e cartone) che costituiscono quasi la metà dei RSU.
La prevenzione e riduzione dei rifiuti sono il tema prioritario del VI programma d’azione ambientale dell’UE. I target specifici da raggiungere sono:
ridurre la quantità di rifiuti destinati allo smaltimento finale del 50% circa entro il 2050;
ridurre il volume di rifiuti pericolosi prodotti del 50% circa entro il 2020.
Un approccio sistematico alla riduzione dei rifiuti implica un’azione coordinata a tutti i livelli: in particolare, essendo le politiche di riduzione iniziative molto difficili da condurre a livello locale, l’azione del legislatore si configura da questo punto di vista strategica ed assolutamente essenziale. Nel nostro paese, ad esempio, l’immesso al consumo degli imballaggi nel 2009 ammonta a circa 10,8 milioni di tonnellate, con un decremento, rispetto al 2008, del 12,9%, (tale riduzione è attribuibile soprattutto alla crisi economica, in particolare a quella industriale) mentre in Olanda si registra una diminuzione significativa dei consumi di imballaggi del 20%: questo è stato ottenuto con un diverso regime di tassazione, capace di influire sulla produzione orientandola verso la riduzione o in alternativa verso l’uso di imballaggi riutilizzabili.
Tuttavia, anche a livello locale, esistono varie leve su cui agire, ma è necessario modificare il nostro stile di vita e promuovere la riduzione dei rifiuti attraverso comportamenti virtuosi da parte di ciascuno di noi come utilizzare le borse di tela al posto degli shopper in plastica tradizionale, acquistare verdura e frutta sfusa, bere l'acqua del rubinetto per ridurre i rifiuti plastici, evitare i prodotti usa e getta o scegliere detersivi, detergenti e alimenti distribuiti alla spina, o le ricariche per riutilizzare lo stesso contenitore.

Raccolta Differenziata

Fatto il possibile dal lato della prevenzione, occorre poi passare alla raccolta differenziata. L’obiettivo è quello di separare in flussi omogenei il maggior quantitativo possibile dei materiali contenuti nei rifiuti e di destinarli al riciclaggio, e quindi al riutilizzo di materia prima.
In Italia, il tasso di raccolta differenziata è oggi intorno al 33,6%, al di sotto dell’obiettivo del 45% a suo tempo fissato dalla normativa vigente, che doveva essere raggiunto entro il 31 dicembre 2008; e, soprattutto, tale risultato viene raggiunto e superato per merito delle sole regioni del Nord, dove si attesta sul 48%; al Centro, infatti è del 24,9% ed al Sud, addirittura del 19,1%.
Non si può parlare di raccolta differenziata senza analizzare strumenti e metodi con cui essa viene fatta ed appare di particolare interesse da questo punto di vista il rapporto fatto dall’ Ecoistituto di Faenza. Lo studio è stato condotto su 1813 comuni di Lombardia e Veneto, regioni ai primi posti per RD, e ha messo a confronto i diversi metodi di raccolta, con l’obiettivo di verificare quali fossero gli strumenti e le metodologie che garantivano i migliori risultati, sia in termini di rese di RD, sia di prevenzione della produzione di rifiuti, sia di costi del servizio. Lo studio è di alto valore statistico, ha infatti riguardato 1.028 comuni (di cui erano disponibili tutti i dati) per complessivi 9.219.895 abitanti: 110 comuni per 1.749.734 abitanti che praticano una raccolta secco/umido (s/u) di tipo stradale e 918 comuni per 6.750.734 abitanti che praticano una raccolta di tipo domiciliare.
I risultati conclusivi sono particolarmente interessanti. Emerge infatti come la raccolta domiciliare con separazione secco/umido, sia per l’intero campione, sia per le diverse fasce di grandezza dei comuni, presenti in modo netto i migliori risultati rispetto agli altri sistemi di raccolta perché comporta:
la minore produzione di rifiuti pro capite, in ossequio al primo criterio di prevenzione alla produzione di rifiuti (mediamente -10%);
le maggiori rese di raccolta differenziata, in ossequio ai criteri di massimo recupero di materia e di minimo smaltimento (mediamente 60% con punte di oltre 80%);
i minori costi pro capite del servizio di igiene urbana, in ossequio al criterio di economicità (mediamente -15%).
La minor produzione di rifiuti urbani nella raccolta domiciliare può essere attribuito a:
maggiore conferimento improprio nei contenitori stradale di rifiuto speciale non assimilato o non assimilabile;
maggiore possibilità di controllo dei conferimenti nella raccolta domiciliare;
maggiore applicazione del compostaggio domestico collegato alla raccolta domiciliare;
maggiore responsabilizzazione nella gestione e prevenzione della produzione dei rifiuti da parte degli utenti nel sistema domiciliare, con conseguenze a cascata nella catena distributiva.
Se poi la raccolta domiciliare si accompagna con la tariffazione puntuale (ovvero vengono premiati i comportamenti virtuosi degli utenti ed uno paga in base alla quota di indifferenziato che produce) i risultati sono ancora migliori: produzione di rifiuti pro capite 0,8 – 1 Kg/abitante·giorno , quota di raccolta differenziata 80%, quota a smaltimento non riciclabile 20% (pari a circa 0,2 Kg/abitante·giorno).

Riuso

Il riuso (o riutilizzo) è uno dei cardini di una gestione efficiente e sostenibile dei rifiuti, che permette di limitare al minimo il ricorso alla discarica e all’incenerimento.
Il riuso è una modalità di gestione dei rifiuti che si basa sul riutilizzo diretto del bene di consumo destinandolo allo stesso tipo di funzione per il quale era stato concepito grazie un trattamento minimo. Il classico esempio è quello del vuoto a rendere che non è limitato al solo vetro, come molti potrebbero pensare. In Germania, Olanda e Scandinavia per le bibite gassate vengono utilizzate bottiglie lavabili in plastica (PET) e riempibili nuovamente; sempre in Scandinavia, ma anche in Alto Adige il vuoto a rendere è usato su bottiglie in policarbonato per il latte.
Riutilizzare i rifiuti porta un duplice vantaggio. Da una parte allunga il ciclo di vita dei beni e riduce il consumo di materie prime per la produzione di un bene nuovo, in accordo con un uso più sostenibile delle risorse: secondo stime Ocse, l’estrazione mondiale di risorse è aumentata del 36% dal 1980 al 2002, e si prevede che crescerà di un ulteriore 48% entro il 2020, per un volume complessivo di circa 80 miliardi di tonnellate. D’altra parte, il riuso diminuisce la quantità dei rifiuti destinati a finire in discarica, con evidenti vantaggi per l’ambiente.
Due sono le premesse perché il riuso, come pure il riciclaggio, diventino strategia efficaci e sostenibili. A monte, sono necessari efficienti sistemi di raccolta dei rifiuti urbani, che permettano l’accesso al bene da riusare o riciclare. A valle, serve uno sviluppo adeguato del mercato del riuso e del recupero dei rifiuti, delle industrie che reimpiegano prodotti o materie scartati dal consumatore.

Riciclo

Il riciclo si basa sul riutilizzo dei materiali di cui è costituito il rifiuto, per lo stesso uso o per altri usi rispetto a quelli del bene originario. Esso si differenzia dal riuso per il fatto che non viene soggetto a riutilizzo direttamente il bene ma il materiale di cui è composto.
L’Unione europea (con la direttiva 2008/98/CE) si è data l’obiettivo di diventare una “società del riciclaggio con un alto livello di efficienza”, cercando di limitare la produzione di rifiuti e di utilizzarli come risorse. Agli Stati membri viene chiesto di impegnarsi affinché i materiali riciclabili non finiscano in discarica, ed entro il 2020 il riciclaggio dei rifiuti urbani (limitatamente a metalli, carta, vetro, plastica) dovrà essere cresciuto almeno del 50% in peso. Se in Italia dalla raccolta differenziata arrivano timidi segnali positivi, il dato complessivo è ancora molto lontano dalle disposizioni di legge (45% al 2008). Nonostante questo, l’industria del riciclo è un settore importante per l’economia nazionale, con dinamiche in crescita continua, strettamente connesse ai settori produttivi che utilizzano le materie seconde. La materia seconda derivata dai processi di riciclo incide, ad esempio, per oltre il 60% nella produzione dei metalli ferrosi e in alcuni non ferrosi. E per oltre il 50% nel settore della carta.
Il privilegio all’opzione del recupero di materia (“riciclaggio” in senso lato) rispetto a quella del recupero energetico è stato definito dalla normativa Europea di settore sulla base di una serie di considerazioni tecniche:
il riciclaggio, necessitando della separazione dei rifiuti alla fonte, coinvolge direttamente gli utilizzatori dei beni e quindi è uno strumento insostituibile di crescita della consapevolezza del problema dello smaltimento dei rifiuti negli stessi consumatori, creando quindi i presupposti per un’azione indotta di prevenzione (minore acquisto di prodotti non riciclabili);
in linea di massima il riciclaggio, oltre a permettere un minor consumo di risorse e materie prime, consente un risparmio energetico superiore a quello ottenibile con termodistruzione e relativo recupero di energia;
il riciclaggio consente di ridurre l’impatto ambientale relativo alle emissioni degli impianti di termodistruzione;
il sistema del riciclaggio consente di creare una serie di attività ad elevata intensità di manodopera (“labour intensive”), sia nella fase di raccolta (es. raccolte porta a porta), sia nell’eventuale fase di selezione dei materiali (es. selezione manuale del secco-leggero), con benefici occupazionali di interesse non trascurabile.
Le pratiche di riciclaggio appaiono inoltre le più efficaci per contrastare i rischi di cambiamenti climatici. Un recente studio condotto dall’Agenzia Europea per l’Ambiente (AEA) per conto della Commissione Europea dal titolo “Opzioni nella gestione dei rifiuti e cambiamento climatico” ha permesso di fare chiarezza in merito all’impatto sul clima delle diverse strategie di gestione dei RU. Tale studio dimostra che “in generale, la strategia raccolta differenziata dei RSU seguita dal riciclaggio (per carta, metalli, tessili e plastica) e il compostaggio/digestione anaerobica (per scarti biodegradabili) produce il minor flusso di gas serra, in confronto con altre opzioni per il trattamento del rifiuto solido urbano tal quale. Se confrontato allo smaltimento del rifiuto non trattato in discarica, il compostaggio/digestione anaerobica degli scarti putrescibili e il riciclaggio della carta producono la riduzione più elevata del flusso netto di gas serra.”

Recupero energetico e trattamento della frazione residuale

Fino ad ora, in assenza di soluzioni alternative e praticabili, veniva dato per scontato che, una volta effettuata una raccolta differenziata adeguata, rimanesse una quota residua variabile dal 15 al 30% per la quale andavano utilizzati metodi di smaltimento che prevedessero un recupero energetico, secondo le direttive dell’UE. Questa ultima fase della gestione dei rifiuti è stata identificata di fatto con la termodistruzione della materia, ottenuta per lo più con l’incenerimento o con altre tecnologie più o meno sperimentate, ma comunque generalmente complesse, costose e soprattutto rigide, ovvero non modulabili a seconda delle variabili esigenze dei territori. Quello che c’interessa qui rimarcare è che questo approccio alla gestione dei rifiuti, normalmente indicato con il termine “gestione integrata dei rifiuti” (in cui è prevista cioè la coesistenza sia di una buona raccolta differenziata che dell’ incenerimento del residuo), si associa di fatto ad una distorsione della gerarchia di trattamento dei rifiuti. Si è inoltre inspiegabilmente trascurato che il recupero energetico dalla frazione residuale può essere raggiunto con metodi alternativi alla combustione quali i trattamenti meccanico biologico (TMB), con digestione anaerobica della frazione organica putrescibile, che porta alla produzione di biogas.

Il TMB non è una tecnologia nuova, ma rappresenta un’evoluzione degli impianti di compostaggio dei rifiuti di diversi anni fa. Consiste essenzialmente di due fasi.
La prima, quella meccanica (attraverso setacci, magneti, correnti di aria, ecc.), serve ad estrarre la parte secca che ancora si trova nel rifiuto residuo, depurando la frazione organica da sostanze estranee alla sua stessa natura prima di avviarla alla seconda fase.
Quest’ultima, la fase biologica (digestione aerobica e/o anaerobica), ha lo scopo di stabilizzare la frazione organica rimanente (FOS) da impiegare in usi non agricoli (diversi dal compost di qualità), quale materiale tecnico per coperture giornaliere di discarica (o di quelle in esaurimento) e/o come materiale per recupero paesaggistico di aree degradate e di ripristino ambientale in genere. In ogni caso lo scopo è quello di rendere inerte qualsiasi materiale organico attivo e stabilizzarne così il residuo il quale, una volta messo in discarica, avrà un impatto ridotto del 90% in termini di produzione di metano, CO2, formazione di percolato, odori e incendi.
Questo sistema non vuole essere un’alternativa alla raccolta differenziata, ma uno degli anelli finali del ciclo dei rifiuti.
Di fatto quando l’obiettivo di recupero di materia rispetto al recupero di energia è perseguito con decisione si può già concretamente raggiungere un recupero pressoché totale della materia in entrata, sia che si tratti di rifiuti urbani che industriali. Il processo di trattamento a bassa temperatura con estrusione sviluppato presso il Centro Riciclo di Vedelago (TV) e certificato presso l’Università di Padova, di recente portato d’esempio sui media nazionali dimostra che non esiste praticamente più nulla da “distruggere”, anzi, ciò che prima era gravato da un costo per il suo smaltimento, diventa invece fonte di guadagno. Con questo metodo infatti dal “secco non riciclabile” si ottiene una sorta di “sabbia sintetica” grandemente richiesta per manufatti plastici ed in edilizia; in particolare l’aggiunta in proporzione del 20% al cemento di tale sabbia sintetica migliora le caratteristiche strutturali conferendo maggiore resistenza ed elasticità al manufatto. La possibilità di chiudere il ciclo dei rifiuti senza una fase di distruzione di materia rappresenta al momento la forma più avanzata del loro trattamento: come appare destinata a tramontare la dizione “ciclo integrato dei rifiuti”, così la stessa parola “rifiuto” diventa desueta perché i cosiddetti “rifiuti” dimostrano di essere risorse a tutti gli effetti.


Conclusioni

Considerate le alternative al conferimento in discarica attualmente disponibili, è opportuno a questo punto suggerire alcune semplici iniziative, per rendere il ciclo della gestione dei rifiuti più ecosostenibile, che potrebbero essere concretamente intraprese dal legislatore, specie se accompagnate da misure sanzionatorie per renderle realmente efficaci.
Ridurre la produzione degli imballaggi reintroducendo e promuovendo il vuoto a rendere o, in alternativa, tassando il vuoto a perdere (al fine di disincentivare la proliferazione degli imballaggi). Eliminare i sacchetti di plastica per fare la spesa (è un inutile spreco di risorse energetiche non rinnovabili, derivano dal petrolio, deturpano e inquinano per centinaia d’anni ogni luogo del pianeta, raggiungono mari ed oceani rappresentando un pericolo per la vita di mammiferi marini, tartarughe ed uccelli che li inghiottono o che vi rimangono intrappolati finendo col morire di fame o asfissia.
Favorire e promuovere i punti vendita di liquidi (bevande e detersivi) sfusi alla spina sia nei supermercati, sia per iniziativa nei Comuni.
Aumentare la raccolta differenziata intervenendo soprattutto sul recupero della frazione organica dei rifiuti solidi urbani e adottando la raccolta domiciliare spinta “porta a porta” con applicazione della tariffa puntuale. Eliminando i cassonetti stradali e distribuendo a domicilio i contenitori per la raccolta di umido, carta, plastica e acciaio/alluminio.
Fare in modo che il recupero e il conferimento della frazione organica siano più convenienti rispetto alla raccolta e allo smaltimento in discarica del rifiuto indifferenziato (ad esempio facendo pagare di meno a coloro che differenziano a monte i rifiuti e, in particolare, la frazione organica; definendo accordi di programma con i gestori degli impianti di compostaggio; promuovendo il compostaggio domestico; aumentando il numero degli impianti di compostaggio).
Adozione di metodi di estrusione e di tutto quanto può permettere il massimo recupero.
Risolvere il conflitto di interessi tra gestori della raccolta dei rifiuti, impianti per la selezione e il recupero dei materiali provenienti da raccolta differenziata, discariche, impianti di compostaggio, impianti per la produzione di CDR: chi gestisce una discarica, o un impianto di CDR, non avrà mai interesse autentico a fare la raccolta differenziata, perché più smaltisce in discarica, o più utilizza carta e plastica per il CDR, e più guadagna.
Garantire la pubblica utilità del servizio di gestione dei rifiuti: oggi tutto viene delegato e trasferito ai privati, senza una partecipazione attiva dei cittadini nella fase che sta a valle della raccolta differenziata (abbiamo già espresso nel capitolo precedente i dubbi sulla fine che fa il materiale raccolto in modo differenziato).
Sviluppare un serio programma di controlli su tutto il ciclo e gli impianti dei rifiuti.
Tutte queste proposte, riassunte qui sinteticamente, devono coinvolgere tutti: dall’alto della volontà politica delle amministrazioni locali al convincimento dal basso dei cittadini.

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