La gestione del ciclo
dei rifiuti rappresenta un’attività verso la quale la mafia nutre grande
interesse, sia per i proventi che per la possibilità di controllare l’intero
territorio. Èquanto emerge al termine dell'attività ispettiva disposta dopo lo
scioglimento per mafia del Comune di Corleone
Che a cosa nostra siciliana faccia gola il lucroso business
dello smaltimento dei rifiuti non è certo il segreto di Pulcinella.
Pagine e pagine di atti giudiziari e di diverse commissioni
parlamentari di inchiesta, hanno ampiamente indagato e sviscerato il fenomeno,
dimostrando come troppo spesso il grimaldello attraverso cui la mafia mette le
mani sulla munnizza è rappresentato
dalle stesse istituzioni preposte alla gestione del servizio.
Una conferma la si ritrova anche nelle motivazioni dello
scioglimento per mafia del comune di Corleone, nel palermitano, che ha
espresso, negli anni, un'organizzazione criminale particolarmente efferata ed
autorevole, i cosiddetti corleonesi,
che annovera personaggi del calibro di Riina, Provenzano e Bagarella, la cui
portata criminale ha travalicato i confini locali.
Dalle risultanze dell'accesso agli atti, disposto lo scorso
gennaio dal prefetto di Palermo, è emersa “una contiguità tra esponenti della
criminalità organizzata corleonese o tra persone ad essi vicine e gli
amministratori comunali, favorita da un fitto intreccio di legami parentali, da
rapporti di frequentazione o da una comunanza di interessi economici”.
Intrecci che, nell’ambito della gestione della pubblica
amministrazione, si sarebbe trasformata in terreno fertile per le cosche
attratte dalle gestione dei business connessi alle attività del Comune.
“La rete familiare e la comunanza di interessi con la
criminalità organizzata – si legge nelle motivazioni pubblicate in Gazzetta
ufficiale - ha costituito il substrato nel quale si è esplicato il
condizionamento dell'amministrazione, comprovato da una serie di fatti gravi e
concreti, che hanno determinato una situazione di vantaggio per soggetti
facenti parte di cosa nostra o vicini alla consorteria, la cui responsabilità
deve essere ricondotta all'ente”.
E proprio le attività connesse alla gestione del ciclo dei
rifiuti sono quelle che suscitano maggiore interesse da parte della criminalità
organizzata, sia per gli enormi proventi che ne derivano, sia per la possibilità
di esercitare un capillare controllo del territorio.
Il comune di Corleone, già socio dell'Ato (Ambito
territoriale ottimale) Palermo 2, oggi in fallimento, “sfruttando le difficoltà
incontrate dalla società incaricata della raccolta, ha garantito a società private,
collegate a consorterie mafiose locali, lo svolgimento del servizio di raccolta
rifiuti”.
La commissione d'accesso ha evidenziato come “il comune ha
perseguito gli interessi delle locali famiglie mafiose, fin dai primi momenti di
crisi dell'ATO, ostacolando le procedure comunali relative all'istituzione
dell'Area di raccolta ottimale (ARO), prevista da specifiche disposizioni
regionali in materia di gestione del ciclo dei rifiuti”.
“Grave è, infatti, la circostanza che nonostante, nel 2014,
l'Ufficio tecnico comunale avesse preparato tutta la documentazione costitutiva
dell'ARO, nonché il Piano di intervento per la raccolta dei rifiuti solidi
urbani sul territorio di Corleone, dopo l'approvazione da parte della giunta,
la relativa delibera consiliare non sia mai stata adottata, per espressa volontà
del sindaco”.
Sindaco che, dal mese di febbraio 2015, aveva dato avvio “ad
una gestione straordinaria del servizio disponendo, con proprie ordinanze
contingibili ed urgenti, interventi sussidiari attraverso noli affidati a due
imprese, di cui una riconducibile ad un soggetto vicino alla locale famiglia
mafiosa, che ne è di fatto l'amministratore, e l'altra amministrata da un
componente del consiglio di amministrazione della prima”.
Ditte che, lo scorso 15 luglio 2016, erano state colpite da provvedimenti
interdittivi disposti dal prefetto che aveva cancellato una delle imprese dalla
cosiddetta white list, istituita
presso la stessa prefettura di Palermo, negandone all’altra l’iscrizione.
Gli accertamenti svolti dalla commissione di accesso hanno evidenziato
inoltre che “i noli contratti dall'amministrazione comunale celano un vero e
proprio affidamento di appalto del servizio”.
Nella sua relazione di ben 51 pagine il prefetto ha osservato
che, solo nel novembre 2015 e nel febbraio 2016, “i rapporti con la seconda
ditta saranno disciplinati con due contratti stipulati in forma pubblica, ma
privi dei più elementari requisiti dell'atto pubblico e, cioè, dell'indicazione
circa l'esatta durata del contratto e della specificazione del costo del
servizio in un arco temporale preciso. Infatti, la durata dell'appalto viene
collegata ‘all'esaurimento delle risorse impegnate’.”
Singolare, infine, è anche la circostanza che “i due
contratti siano stati sottoscritti in vigenza di un atto di indirizzo della
giunta che - esercitando una competenza impropria - dichiara cessato lo stato
di emergenza ed incarica il responsabile del servizio di espletare una regolare
procedura di gara”.
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