“A Messina la mafia non esiste, a
Messina è tutto tranquillo, a Messina non succede mai niente…”
Messina è stata sempre definita città
“babba”. Questo perché, nel piano di controllo del territorio da
parte di Cosa Nostra, la provincia peloritana doveva restare
tranquilla, nell’ombra.
Perché è proprio lontano dai
riflettori che è possibile agire indisturbati e dare piena
attuazione al disegno criminale. Dalla gestione e controllo dei
grandi appalti pubblici (autostrada Messina-Palermo, doppio binario
della ferrovia) al business delle discariche e dello smaltimento dei
rifiuti. Appalti, licenze edilizie, aree edificabili, controllo
dell’acqua. Cioè agganci con la politica, con l’economia e con
pezzi delle istituzioni.
Roberto Ravidà, ex capo dell’ufficio
tecnico del comune di Mazzarrà Sant’Andrea, arrestato
nell’operazione antimafia Gotha 3 del 24 luglio 2012, è stato
condannato ieri dal tribunale di Barcellona Pozzo di Gotto a sette
anni per concorso esterno in associazione mafiosa. I pubblici
ministeri della Dda Angelo Cavallo e Vito Di Giorgio avevano chiesto
la condanna a sei anni. Al centro dell’inchiesta ci sarebbero una
serie di estorsioni nei confronti di numerose imprese edili del
comprensorio tirrenico, impegnate nell’esecuzione di diversi
appalti pubblici. Il ruolo di Ravidà, secondo l’accusa, sarebbe
stato quello di favorire la gestione degli appalti e delle estorsioni
da parte dell’organizzazione criminale. Il processo di Barcellona
rappresenta uno stralcio del filone principale del procedimento Gotha
3, attualmente in corso di appello, che vede coinvolto anche
l’avvocato Rosario Pio Cattafi, condannato in primo grado a dodici
anni.
Raccontava qualche anno fa il giudice
Roberto Scarpinato: «La mafia oggi i soldi li fa con la testa e non
coi muscoli». Una testa che arruola schiere di “uomini-cerniera”
che entrano in ogni ufficio pubblico e privato.
Medici, architetti, ingegneri,
avvocati, commercialisti, banchieri, funzionari e uomini delle
istituzioni sono stati inglobati nel sistema di potere che ruota
attorno ai clan, fino a renderli parte integrante del tessuto
criminale.
Colletti bianchi a disposizione di Cosa
Nostra. Come il geometra Roberto Ravidà, uno dei principali artefici
della realizzazione dell’unica e più grande discarica di rifiuti
del messinese, quella di Mazzarrà Sant’Andrea.
Era stato lui a presiedere la
commissione aggiudicatrice dell’appalto per la sua costruzione. Lui
a scegliere la ditta “vincitrice”, riconducibile a un degli
esponente della cosca locale. Lui a smistare le procedure per il
rilascio, da parte della Regione, delle autorizzazioni ambientali
necessarie per l’esercizio e l’ampliamento.
Fin dal 2000 il geometra Roberto Ravidà
s’era legato a filo doppio al “gotha” della mafia messinese, di
cui era il referente per l’aggiudicazione degli appalti pubblici.
Avrebbe anche fatto da tramite tra la cosca e le imprese per la
riscossione di estorsioni e tangenti, indicando di volta in volta
quali imprese taglieggiare o avvicinare.
Quando il ministro Lunardi diceva che
«con la mafia bisogna convivere» peccava di minimalismo. Stato e
mafia hanno convissuto sempre. Dalla borghesia mafiosa (che però non
faceva entrare i boss nel salotto buono) post-unitaria alla zona
grigia di corruzione e affari degli anni settanta, fino alle grandi
stragi corleonesi. Oggi la situazione è peggiorata, perché dalla
convivenza siamo passati alla connivenza, dall’omertà alla
complicità e all’alleanza.
Il modello mafioso ormai è condiviso
da settori sempre più vasti della società. E le cosche hanno
imparato a calibrare l’uso della violenza (che rimane decisiva) per
mantenere il controllo del territorio. Spesso non hanno bisogno di
minacciare, e gestiscono invece servizi e competitivi: “offerte che
non si possono rifiutare”, in grado di trasformare gli imprenditori
da vittime delle estorsioni in entusiasti clienti e complici.
Banchieri, commercialisti, e manager spesso accettano di lavorare per
loro non per bisogno economico né per minacce.
Dall’edilizia al commercio, dal Ponte
sullo Stretto al sacco della sanità pubblica, questo tipo di
“imprenditori” domina ormai il terreno degli appalti pubblici
siciliani. Con le conseguenze intuibili per le residue isole di
economia legale.
Nessun commento:
Posta un commento