Secondo
quanto riportato nel Rapporto Ispra 2012, in Italia sono stati
prodotti nel 2010 32,5 milioni di tonnellate di rifiuti e la forma di
gestione più diffusa continua ad essere rappresentata dalle
discariche, che da sole smaltiscono il 46 per cento dei rifiuti
urbani, sebbene nel 2010 si sia registrata una flessione del 3,4 per
cento rispetto all’anno precedente.
Persistono
le differenziazioni tra le varie regioni, da cui emerge che nel
Centro-Sud il ricorso alle discariche supera abbondantemente il 50%
della quota dei rifiuti urbani prodotti, arrivando a costituire il
93% in Sicilia.
Sconfortanti
i dati sulla raccolta differenziata: 11,4 milioni di tonnellate pari
al 35%. Cifre che confermano l’ormai cronico ritardo maturato nel
corso degli anni.
Pensate
che con questa misera percentuale si è raggiunto solo l’obiettivo
prefissato per il 2006 (35%) mentre siamo ancora lontani dagli
obiettivi relativi al 2009 (50%) e 2001 (60%). Maglia nera per la
Sicilia dove la differenziata è ancora sotto il 10% (9,4).
Smaltire
in discarica – oltre ad avere un costo rilevante relativi ai costi
ambientali in termini di inquinamento e, connessi a entrambi, i costi
sociali delle tensioni che spesso accompagnano le politiche adottate
in questo settore – comporta anche un costo economico.
L’analisi
economica della gestione dei rifiuti in Italia, contenuta sempre nel
rapporto dell’ISPRA, ha evidenziato infatti una crescita del costo
medio pro-capite del 9,9 per cento rispetto al 2009.
E
allora, ci si chiede, perché si continua a perseguire questa strada,
andando contro anche alle direttive europee che ci impongono di
gestire i rifiuti secondo una precisa classificazione gerarchica che
vede solo all’ultimo posto lo smaltimento in discarica e
l’incenerimento?
La
risposta è semplice, dietro ci sono forti interessi economici di
chi, spesso in situazione di monopolio, gestisce le discariche.
Gruppi privati o misti pubblico-privati che tra i loro azionisti
contano società che effettuano in appalto dai comuni o dagli Ato il
servizio di igiene urbana.
Tanto
per fare alcuni esempi, la Oikos proprietaria della discarica di
Motta Sant’Anastasia nel catanese potrebbe averne uno facendo parte
del consorzio Simco che è anche una delle aziende che si occupa
della raccolta dei rifiuti in alcuni centri etnei per conto della
Simeto Ambiente. Come abbiamo appreso dalla lettura della relazione
della commissione parlamentare d’inchiesta sulle attività illecite
nel ciclo dei rifiuti, la Tirrenoambiente ne ha un altro, contando
tra i suoi soci privati società come Gesenu e Ederambiente che in
passato hanno svolto il servizio per conto dell’Ato Me 2 di
Barcellona.
Basta
farsi due conti. In media nel messinese si pagano circa 100 euro a
tonnellata e a Mazzarrà nel 2010 ne sono state smaltite 236.226.
Come
si può quindi avere interesse a incentivare la raccolta
differenziata se, visti i guadagni, si vuole conferire il più
possibile in discarica?
E
così in pochi anni sono state ammassate in discarica tonnellate e
tonnellate di rifiuti, il cui costo di conferimento ha finito per
mandare a gambe all’aria i bilanci degli Ato siciliani. Debiti
questi che finiscono oggi per gravare sulle già disastrate casse dei
comuni.
Per
renderci conto di quanto ci sta costando sotterrare gli scarti della
nostra società consumistica, la Regione qualche settimana fa ha
inviato a Furnari un commissario ad acta per il versamento delle
somme dovute quale quota di partecipazione sociale alla società
d’ambito, quantificate in 333.670,30 euro.
Dove
c’è un debitore, ovviamente, c’è anche un creditore, che nello
specifico è rappresentato dalla monopolista Tirrenoambiente.
Come
da prassi ormai da tempo consolidata, la società partecipata del
comune di Mazzarrà periodicamente sbarra i cancelli della discarica
di contrada Zuppà «a quei soggetti conferitori [i comuni] non in
regola con i pagamenti e a quelli che non intendano provvedere al
pagamento, anche in forma dilazionata, dei debiti pregressi contratti
dall’ATO ME 2 SpA in liquidazione, per i conferimenti eseguiti
nell’interesse dei Comuni soci».
Al
comune di Furnari, nello specifico, sono stati chiesti «46.829,95
euro quale quota parte del debito» maturato dall’Ato. Ovviamente a
Palazzo Federico II sono di diverso parere.
Per
il sindaco di Furnari: «Chi non cede a questa sorta di ricatto e non
paga è costretto a non poter scaricare i rifiuti». Nella stessa
situazione si trovano anche i comuni di Montagnareale, Valdina,
Torregrotta, Novara di Sicilia e Merì i cui sindaci hanno deciso di
denunciare tutte le irregolarità riscontrate nella gestione del
settore da parte della società mista.
I
cancelli non si sono aperti nemmeno dopo l’emanazione delle
ordinanze ex art. 191 del d.lgs 152/2006 e dopo che un successivo
decreto del Dipartimento Regionale delle Acque e dei Rifiuti
autorizzasse i sette comuni a conferire i rifiuti nell’invaso di
contrada Zuppà.
Secondo
il primo cittadino furnarese nel comportamento della Tirrenoambiente
sarebbero ravvisabili risvolti penali quali il reato di concussione e
di interruzione di pubblico servizio, e per questo motivo si è
rivolto al Prefetto e alla Procura della Repubblica di Barcellona
P.G.
Inoltre,
secondo Foti, Tirrenoambiente imporrebbe la firma di un contratto per
pagare il pregresso in cui è prevista una clausola «con la quale
noi, dopo aver pagato, ci impegniamo a rinunciare a tutte le azioni
da far valere in funzione degli importi e delle tariffe». Per questo
motivo è stato chiesto a diversi enti, per avere «certezza» del
prezzo di conferimento dei rifiuti nella discarica, di «conoscere il
decreto regionale che ne ha determinato l’importo successivamente
all’ampliamento della discarica» del maggio 2009.
In
questi giorni i mezzi della Dusty hanno ripreso a svuotare i
cassonetti, segno che in qualche modo la situazione si è sbloccata,
ma resto del parere che per “azzerare la discarica” e quindi
lasciarci alle spalle lo stato di “continua emergenza”, i comuni,
a partire dal nostro, devono adottare i sistemi di raccolta
domiciliare, massimizzando il riciclaggio a partire dalla frazione
organica domestica.
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