Questo blog non rappresenta una testata giornalistica, in quanto viene aggiornato senza alcuna periodicità.
Non può, pertanto, considerarsi un prodotto editoriale, ai sensi della legge n. 62 del 7/03/2001

Si ricorda però che l’art. 21 della Costituzione recita: “Tutti hanno diritto di manifestare liberamente il proprio pensiero con la parola, lo scritto e ogni altro mezzo di diffusione. La stampa non può essere soggetta ad autorizzazioni o censure. Si può procedere a sequestro soltanto per atto motivato dell’autorità giudiziaria nel caso di delitti, per i quali la legge sulla stampa espressamente lo autorizzi, o nel caso di violazione delle norme che la legge stessa prescriva per l’indicazione dei responsabili."

venerdì 27 luglio 2012

Intrecci tra mafia e colletti sporchi in provincia di Messina


Dopo le precedenti operazioni Batana, Montagna, Vivaio, Pozzo Torrente e Gotha – che già avevano colpito duramente cosa nostra nel messinese – con l’operazione Gotha III – scattata all’alba del 24 luglio – il Ros dei carabinieri e la DDA di Messina hanno inflitto un duro colpo e depotenziato ulteriormente la struttura mafiosa da anni al vertice del panorama delinquenziale della costa tirrenica.
Le attività di indagine sviluppate dai militari dell’Arma – che si sono avvalse anche delle convergenti dichiarazioni rese dai collaboratori di giustizia Carmelo Bisognano, Santo Gullo, Teresa Truscello (ex convivente del Bisognano) e Alfio Giuseppe Castro – e le ammissioni di alcuni imprenditori edili colpiti da provvedimenti di sequestro del patrimonio, hanno consentito di definire altri episodi di estorsione finalizzati al controllo di appalti pubblici e di attività economiche nella provincia di Messina.
Ma gli aspetti più inquietanti riguardano soprattutto l’evoluzione delle dinamiche criminali interne della mafia del Longano nel periodo immediatamente successivo al 10 aprile 2006, quando in un casolare di Corleone si poneva termine alla lunga latitanza di Bernardo Provengano.
Ed è proprio dopo l’arresto del nuovo capo dei capi, Salvatore Lo Piccolo e il figlio Sandro avevano cercato di realizzare un riassetto generale di cosa nostra palermitana e delle sue ramificazioni provinciali.
Al riguardo le indagini hanno reso possibile accertare che le famiglie barcellonese e tortoriciana sono state rappresentate – fino al momento del suo arresto – avvenuto il 12 aprile 2008 nell’ambito dell’operazione Vivaio – da Tindaro Calabrese.
Quest’ultimo – insieme a Carmelo Salvatore Trifirò e tramite Alfio Giuseppe Castro, grazie anche all’alleanza di ferro stretta con Angelo Santapaola, ucciso nel 2007, – aveva gradualmente estromesso Carmelo Bisognano dalla guida della cosca dei mazzarroti e dal business che ruotava attorno alle discariche di Tripi e Mazzarrà Sant’Andrea. Un’alleanza di ferro fondata sulla spartizione del pizzo sui grossi lavori pubblici, favorita dai tanti “colletti bianchi” catanesi d’estrazione ma da tempo residenti nel messinese.
L’ex pastore di Novara di Sicilia – in seguito affiliatosi ritualmente proprio ai Lo Piccolo, derogando così ai preesistenti equilibri che vedevano interagire i rappresentanti della mafia messinese con cosa nostra tramite i Santapaola o il mandamento di San Mauro Castelverde – ha continuato a reggere l’articolazione criminale dei mazzarroti del sodalizio barcellonese controllando le attività criminali nell’ambito del proprio territorio ed ha rappresentato un punto di riferimento per cosa nostra nella provincia di Messina, anche se, ad un certo punto, il nuovo equilibrio tra Messina-Catania-Palermo si rompe e lo stesso Calabrese inizia a diventare un personaggio scomodo da eliminare. Paura che lo stesso Calabrese manifesta subito dopo l’omicidio di Angelo Santapaola: temendo di essere eliminato a sua volta. Sarà il regime carcerario del 41 bis al quale è attualmente sottoposto a salvargli la pelle.
Nell’inchiesta sono state anche documentate le infiltrazioni nel Comune di Mazzarrà Sant’Andrea.
L’operazione Gotha III quindi non ha colpito solo i pezzi da novanta della mafia tirrenica, ma ha anche coinvolto funzionari pubblici e imprenditori che hanno vissuto sotto la sua ombra, spalleggiandola e ottenendone in cambio benefici economici.
Colletti sporchi a “disposizione” di cosa nostra barcellonese come l’ex capo dell’ufficio tecnico del comune mazzarrese, Roberto Ravidà – attualmente alla guida dell’Ufficio tecnico del Comune di Oliveri.
Ravidà – che finora era sempre uscito indenne da altre azioni giudiziarie in cui risultava indagato (Vivaio e Torrente) – può, a ragione, essere considerato uno dei massimi artefici della realizzazione dell’unica e più grande discarica del messinese. Grazie infatti alle rivelazioni del neo pentito Bisognano è stato possibile fare chiarezza sul principale degli affari del suo clan, cioè il business delle discariche, a partire dal 2000 quando vennero aggiudicati i lavori per il primo sito di Mazzarrà.
Ecco cosa raccontava Bisognano al sostituto Verzera: «Nell’anno 2000, ritengo nel secondo semestre venne erogato un finanziamento di circa 2 o 3 miliardi complessivi al Comune di Mazzarrà Sant’Andrea per la realizzazione di una discarica comprensoriale sempre nel territorio di Mazzarrà che doveva sorgere su quella vecchia. Venne indetta una gara alla quale parteciparono 14 o 15 imprese e l’appalto venne aggiudicato all’Ati costituita dalla Ca.Ti.Fra. di Calabrese Tindaro e alla Costanzo di Santa Domenica Vittoria o Randazzo. Il presidente della commissione è il tecnico comunale geom. Ravidà Roberto. Dopo l’aggiudicazione sorsero dei problemi nel senso che la impresa MDM di Emanuele Caruso, anch’essa concorrente, intendeva impugnare l’aggiudicazione; di ciò venni informato dal Ravidà e da Renzo Mirabito, consulente ambientale del Comune di Mazzarrà Sant’Andrea i quali chiesero un mio intervento, nella qualità di referente della mia organizzazione, per evitare il ricorso amministrativo della MDM in quanto al comune ed anche a noi interessava che l’aggiudicazione all’Ati di cui ho detto fosse mantenuta».
Poi iniziò la fase del «conferimento dei rifiuti da parte dei comuni della Provincia di Messina», e «alcune ditte tra cui quella di Truscello Teresa [all’epoca conviveva con il Bisognano, N.d.A.] presentarono offerte alla Sangermano per il conferimento di materiale vegetale necessario alla copertura dei rifiuti. L’offerta della Truscello non venne presentata alla ditta Sangermano bensì consegnata direttamente dalla Truscello all’ufficio tecnico del Comune di Mazzarrà nella persona del geom. Ravidà. Ottenemmo la fornitura sulla base di ordini di fornitura periodicamente emessi dalla ditta».
Per l’intero decennio successivo, quindi, il geometra si legò saldamente al vertice della mafia barcellonese e, in maniera particolare, a Sem Di Salvo, tramite l’intermediazione di Carmelo Bisognano, di cui il tecnico comunale era il referente insieme al sindaco di allora Nello Giambò.
Il sodalizio permise l’aggiudicazione degli appalti pubblici alle imprese vicine ai barcellonesi se non quando direttamente riconducibili allo stesso Di Salvo.
E non solo, il Ravidà avrebbe anche fatto da tramite tra la cosca e le imprese per la riscossione di estorsioni e tangenti. Lo stesso avrebbe anche indicato, di volta in volta, quali imprese taglieggiare o avvicinare per assoggettarle al sistema delle tangenti, ottenendone – ovviamente – un cospicuo ritorno economico.
Tra gli altri colletti bianchi oggetto dell’indagine Gotha III si segnalano l’imprenditore Giovanni Bontempo che – oltre ad aver garantito la latitanza a Capo d’Orlando nel luglio 2007 al boss di Carini Gaspare Pulizzi, uomo di fiducia dei Lo Piccolo, con la copertura e l’appoggio del Calabrese – ha operato imprenditorialmente in sinergia con i sodalizi barcellonesi e tortoriciani.
Nel corso dell’operazione dei Ros sono stati anche sequestrati beni per un valore complessivo di oltre 15 milioni di euro riconducibili allo stesso Bontempo oltre che al killer dei barcellonesi Carmelo Giambò e a Giuseppe Triolo.
Nelle 240 pagine dell’ordinanza è emerso anche che tra gli indagati – a piede libero – figurerebbero altri colletti bianchi. L’ex sindaco di Mazzarrà Sant’Andrea, Carmelo Navarra (già indagato nell’operazione Torrente), in carica sino all’inizio del maggio scorso quando ha esaurito il doppio mandato, per la vicenda discarica e il consigliere comunale di Capo d’Orlando, Massimo Reale. Quest’ultimo proprio in relazione alla vicenda della latitanza di Pulizzi, anche se la sua posizione, comunque, appare marginale.

Nessun commento:

Posta un commento