Dopo le precedenti operazioni Batana, Montagna,
Vivaio, Pozzo Torrente e Gotha – che già avevano
colpito duramente cosa nostra nel messinese – con l’operazione Gotha
III – scattata all’alba del 24 luglio – il Ros dei carabinieri e la DDA di
Messina hanno inflitto un duro colpo e depotenziato ulteriormente la struttura
mafiosa da anni al vertice del panorama delinquenziale della costa tirrenica.
Le attività di indagine sviluppate dai militari dell’Arma –
che si sono avvalse anche delle convergenti dichiarazioni rese dai
collaboratori di giustizia Carmelo Bisognano, Santo Gullo, Teresa Truscello (ex
convivente del Bisognano) e Alfio Giuseppe Castro – e le ammissioni di alcuni imprenditori
edili colpiti da provvedimenti di sequestro del patrimonio, hanno consentito di
definire altri episodi di estorsione finalizzati al controllo di appalti
pubblici e di attività economiche nella provincia di Messina.
Ma gli aspetti più inquietanti riguardano soprattutto
l’evoluzione delle dinamiche criminali interne della mafia del Longano nel
periodo immediatamente successivo al 10 aprile 2006, quando in un casolare di
Corleone si poneva termine alla lunga latitanza di Bernardo Provengano.
Ed è proprio dopo l’arresto del nuovo capo dei capi,
Salvatore Lo Piccolo e il figlio Sandro avevano cercato di realizzare un
riassetto generale di cosa nostra palermitana e delle sue
ramificazioni provinciali.
Al riguardo le indagini hanno reso possibile accertare che
le famiglie barcellonese e tortoriciana sono state rappresentate – fino al
momento del suo arresto – avvenuto il 12 aprile 2008 nell’ambito
dell’operazione Vivaio – da Tindaro Calabrese.
Quest’ultimo – insieme a Carmelo Salvatore Trifirò e tramite
Alfio Giuseppe Castro, grazie anche all’alleanza di ferro stretta con Angelo
Santapaola, ucciso nel 2007, – aveva gradualmente estromesso Carmelo Bisognano
dalla guida della cosca dei mazzarroti e dal business che ruotava
attorno alle discariche di Tripi e Mazzarrà Sant’Andrea. Un’alleanza di ferro
fondata sulla spartizione del pizzo sui grossi lavori pubblici, favorita dai
tanti “colletti bianchi” catanesi d’estrazione ma da tempo residenti nel
messinese.
L’ex pastore di Novara di Sicilia – in seguito affiliatosi
ritualmente proprio ai Lo Piccolo, derogando così ai preesistenti equilibri che
vedevano interagire i rappresentanti della mafia messinese con cosa nostra
tramite i Santapaola o il mandamento di San Mauro Castelverde – ha continuato a
reggere l’articolazione criminale dei mazzarroti del sodalizio
barcellonese controllando le attività criminali nell’ambito del proprio
territorio ed ha rappresentato un punto di riferimento per cosa nostra
nella provincia di Messina, anche se, ad un certo punto, il nuovo equilibrio
tra Messina-Catania-Palermo si rompe e lo stesso Calabrese inizia a diventare
un personaggio scomodo da eliminare. Paura che lo stesso Calabrese manifesta
subito dopo l’omicidio di Angelo Santapaola: temendo di essere eliminato a sua
volta. Sarà il regime carcerario del 41 bis al quale è attualmente sottoposto a
salvargli la pelle.
Nell’inchiesta sono state anche documentate le infiltrazioni
nel Comune di Mazzarrà Sant’Andrea.
L’operazione Gotha III quindi non ha colpito solo i pezzi
da novanta della mafia tirrenica, ma ha anche coinvolto funzionari pubblici
e imprenditori che hanno vissuto sotto la sua ombra, spalleggiandola e ottenendone
in cambio benefici economici.
Colletti sporchi a “disposizione” di cosa nostra
barcellonese come l’ex capo dell’ufficio tecnico del comune mazzarrese, Roberto
Ravidà – attualmente alla guida dell’Ufficio tecnico del Comune di Oliveri.
Ravidà – che finora era sempre uscito indenne da altre
azioni giudiziarie in cui risultava indagato (Vivaio e Torrente)
– può, a ragione, essere considerato uno dei massimi artefici della
realizzazione dell’unica e più grande discarica del messinese. Grazie infatti
alle rivelazioni del neo pentito Bisognano è stato possibile fare chiarezza sul
principale degli affari del suo clan, cioè il business delle discariche, a
partire dal 2000 quando vennero aggiudicati i lavori per il primo sito di
Mazzarrà.
Ecco cosa raccontava Bisognano al
sostituto Verzera: «Nell’anno 2000, ritengo nel secondo semestre venne erogato
un finanziamento di circa 2 o 3 miliardi complessivi al Comune di Mazzarrà
Sant’Andrea per la realizzazione di una discarica comprensoriale sempre nel
territorio di Mazzarrà che doveva sorgere su quella vecchia. Venne indetta una
gara alla quale parteciparono 14 o 15 imprese e l’appalto venne aggiudicato
all’Ati costituita dalla Ca.Ti.Fra. di Calabrese Tindaro e alla Costanzo di
Santa Domenica Vittoria o Randazzo. Il presidente della commissione è il
tecnico comunale geom. Ravidà Roberto. Dopo l’aggiudicazione sorsero dei
problemi nel senso che la impresa MDM di Emanuele Caruso, anch’essa
concorrente, intendeva impugnare l’aggiudicazione; di ciò venni informato dal
Ravidà e da Renzo Mirabito, consulente ambientale del Comune di Mazzarrà
Sant’Andrea i quali chiesero un mio intervento, nella qualità di referente
della mia organizzazione, per evitare il ricorso amministrativo della MDM in
quanto al comune ed anche a noi interessava che l’aggiudicazione all’Ati di cui
ho detto fosse mantenuta».
Poi iniziò la fase del «conferimento
dei rifiuti da parte dei comuni della Provincia di Messina», e «alcune ditte
tra cui quella di Truscello Teresa [all’epoca conviveva con il Bisognano,
N.d.A.] presentarono offerte alla Sangermano per il conferimento di materiale
vegetale necessario alla copertura dei rifiuti. L’offerta della Truscello non
venne presentata alla ditta Sangermano bensì consegnata direttamente dalla
Truscello all’ufficio tecnico del Comune di Mazzarrà nella persona del geom.
Ravidà. Ottenemmo la fornitura sulla base di ordini di fornitura periodicamente
emessi dalla ditta».
Per l’intero decennio successivo, quindi, il geometra si
legò saldamente al vertice della mafia barcellonese e, in maniera particolare,
a Sem Di Salvo, tramite l’intermediazione di Carmelo Bisognano, di cui il
tecnico comunale era il referente insieme al sindaco di allora Nello Giambò.
Il sodalizio permise l’aggiudicazione degli appalti pubblici
alle imprese vicine ai barcellonesi se non quando direttamente riconducibili
allo stesso Di Salvo.
E non solo, il Ravidà avrebbe anche fatto da tramite tra la
cosca e le imprese per la riscossione di estorsioni e tangenti. Lo stesso
avrebbe anche indicato, di volta in volta, quali imprese taglieggiare o
avvicinare per assoggettarle al sistema delle tangenti, ottenendone –
ovviamente – un cospicuo ritorno economico.
Tra gli altri colletti bianchi oggetto dell’indagine Gotha
III si segnalano l’imprenditore Giovanni Bontempo che – oltre ad aver garantito
la latitanza a Capo d’Orlando nel luglio 2007 al boss di Carini Gaspare
Pulizzi, uomo di fiducia dei Lo Piccolo, con la copertura e l’appoggio del
Calabrese – ha operato imprenditorialmente in sinergia con i sodalizi
barcellonesi e tortoriciani.
Nel corso dell’operazione dei Ros sono stati anche
sequestrati beni per un valore complessivo di oltre 15 milioni di euro
riconducibili allo stesso Bontempo oltre che al killer dei barcellonesi Carmelo
Giambò e a Giuseppe Triolo.
Nelle 240 pagine dell’ordinanza è emerso anche che tra gli
indagati – a piede libero – figurerebbero altri colletti bianchi. L’ex sindaco
di Mazzarrà Sant’Andrea, Carmelo Navarra (già indagato nell’operazione Torrente), in carica sino all’inizio del
maggio scorso quando ha esaurito il doppio mandato, per la vicenda discarica e
il consigliere comunale di Capo d’Orlando, Massimo Reale. Quest’ultimo proprio
in relazione alla vicenda della latitanza di Pulizzi, anche se la sua
posizione, comunque, appare marginale.
Nessun commento:
Posta un commento