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giovedì 6 gennaio 2011

Ritorno al nucleare? Sulla pelle dei siciliani, il mistero di Pasquasìa

In questi giorni molti di voi avranno notato, anche solo di sfuggita, lo strano spot sul nucleare trasmesso dalle tv nazionali.
Giusto per rinfrescare la memoria, considerato che la maggioranza degli italiani è incline a dimenticare in fretta, il 24 febbraio 2010 il presidente del consiglio dei ministri Berlusconi e il presidente francese Sarkozy hanno firmato a Roma un accordo per la produzione di energia dall’atomo, e si sa che la produzione di energia atomica comporta il problema dello stoccaggio delle scorie, e in Sicilia esiste un sito, l’ex miniera di sali potassici di Pasquasìa in provincia di Enna,  che per le sue caratteristiche naturali, diventa molto importante.
La miniera di Pasquasìa, chiusa dal 1992, è stata la più importante miniera per l'estrazione di Sali alcalini misti ed in particolare di Kainite per la produzione di solfato di potassio della Sicilia.
Pasquasìa sorge su un dosso lungo la Strada Statale 121 Catanese, a metà strada tra Enna e Caltanissetta, nell'omonima contrada, ai piedi del monte Pasquasìa di 610 m di altezza. Essa è oggi, probabilmente, uno dei più validi esempi reperibili in Sicilia di archeologia industriale: il grande complesso di strutture che servivano le massicce attività della miniera, peraltro moderne ed efficienti, sono ben visibili dalla sottostante strada statale, ed appaiono come grandi edifici di funzione meccanistica di colore bianco, con un castelletto d'acciaio ormai in rovina. Il fulcro della miniera è il Pozzo 3, incuneato nel demanio forestale.
Durante l'attività dell'ultima fase, Pasquasia dava direttamente lavoro a circa 500 dipendenti con un indotto altrettanto numeroso. Grazie alla sua produzione, l'Italkali, azienda gestore, era la terza fornitrice mondiale di sali potassici per il cui trattamento di flottazione era stato anche creato l'invaso sul fiume Morello. La chiusura della miniera ha decretato, a livello mondiale, la mancata partecipazione dell'Italia alla fornitura di sali potassici e derivati, a vantaggio dei colossi internazionali della Francia e della Germania. Secondo alcune stime, Pasquasia sarebbe potuta rimanere in attività per altri 8 anni, ma altre fonti parlano di un periodo ben superiore.
Perché allora Pasquasìa è stata chiusa?
Secondo la versione ufficiale la chiusura è stata dettata dagli alti costi per la realizzazione di una condotta di scarico lunga 90 km fino a Licata.
Tuttavia sulla miniera e la sua prematura chiusura girano da decenni diverse e ben più inquietanti voci.
Il pentito di mafia Leonardo Messina, caposquadra nella miniera nel 1992, dichiarò che nelle gallerie vennero stoccati rifiuti radioattivi. L’attendibilità del pentito Messina sembrerebbe confermata dall’avvio, il 17 novembre dello stesso anno e sulla base delle sue dichiarazioni, della cosiddetta “Operazione Leopardo”, che porterà ad oltre 200 ordini di cattura in tutta Italia.
A confermare la possibilità che la miniera possa diventare sito di stoccaggio concorrono altri oggettivi riscontri.
Già nel lontano 1977 la commissione europea stilava una lista dei siti, in Italia, idonei ad ospitare un deposito di rifiuti radioattivi, e Pasquasìa era tra questi.
Nel 1984, l’Enea (oggi Agenzia nazionale per le nuove tecnologie, l’energia e lo sviluppo economico sostenibile, allora Comitato nazionale per la ricerca e lo sviluppo dell’energia nucleare e delle energie alternative) aveva condotto studi sui livelli argillosi di Pasquasia e sulla loro resistenza alle altissime temperature generate da scorie nucleari, attraverso la costruzione di una galleria profonda 50 metri, successivamente sigillata.
Nello stesso periodo funzionari del Sisde, secondo il pentito di mafia, avrebbero contattato l’allora amministrazione comunale per richiedere un’autorizzazione a seppellire a Pasquasìa del non meglio precisato materiale militare. 
Ma si ipotizza addirittura un inaspettato incidente nucleare verificatosi probabilmente intorno al 1995 durante una fase sperimentale di laboratorio per verificare la reale consistenza del sottosuolo della miniera su eventuali dispersioni di radiazioni. Lo testimonierebbe la presenza di Cesio 137 nelle vicinanze di Pasquasia, riscontrata dall’Usl nel 1997 in concentrazione ben superiore alla norma. Ricordiamo che il Cesio 137 è un radionuclide che viene liberato normalmente in caso di fughe all’interno di centrali nucleari.
Ma la difficoltà di accertamento sono notevoli: nella miniera di Pasquasia l’argilla, potente schermo naturale, lo rende difficile se non impossibile.
Sempre nel 1997 la procura di Caltanissetta dispone un’ispezione all’interno della galleria di Pasquasia utilizzata dal’Enea. Fu necessario un lungo lavoro per la messa in sicurezza. All’interno, i magistrati trovarono solo alcune centraline di rilevamento lasciate dall’Ente. Non venne mai chiarito cosa dovessero “misurare”. L’Enea dichiarava di aver prelevato delle argille e di averle studiate in laboratorio.
Uno studio epidemiologico del Dott. Maurizio Cammarata, oncologo all’Ospedale di Enna, effettuato lo stesso anno nella provincia di Enna, rivelò un incremento di tumori del 20% nel solo biennio 1995/96, in una provincia priva di industrie e di particolari inquinamenti. Dati che allarmano: 16 persone su 10.000 muoiono di tumore ad Enna, rispetto a 12 persone su 10.000 di Milano.
Negli anni successivi i decessi per tumore sono continuati a crescere, ma un monitoraggio non esiste essendo la Provincia di Enna esclusa dal Registro dei Tumori, il sistema di raccolta dati previsto da un’apposita legge regionale. Dati empirici suggerirebbero anche un’indagine dei decessi da infarti, perché dopo leucemie e tumori, le radiazioni sono dannose anche per il cuore. Uno studio britannico, un’analisi sulle condizioni di salute di 65.000 dipendenti nel settore fra il 1946 e il 2002, condotto dai ricercatori del Westlakes Scientific Consulting (Cumbria) e pubblicato sull’International Journal of Epidemiology, nel marzo del 2008, sottolinea come il rischio di malattie cardiocircolatorie da nucleare sia addirittura maggiore del pericolo di cancro. Del resto, diverse ricerche hanno evidenziato i decessi prematuri per problemi cardiocircolatori nei sopravvissuti alla bomba atomica sganciata sul Giappone durante la seconda guerra mondiale.
In un’intervista pubblicata nel 2001 l’On. Grimaldi, a suo tempo assessore al territorio e ambiente della regione siciliana, dice: «Quando cercai di entrare a Pasquasia con dei tecnici, con degli esperti del mio assessorato, ebbi grande difficoltà ad accedervi, perché non volevano che entrasse la televisione. Non volevano nel modo più assoluto che si vedessero i pozzi. Quando poi sono riuscito ad entrare all’interno della miniera, la cosa più strana che vidi era che uno di quei pozzi, che loro chiamavano bocche d’aria o sfiatatoi enormi e profondi, dal diametro di più di 15 metri, era stato riempito con materiale che di sicuro era stato trasportato all’interno della miniera per chiudere, per tappare in modo definitivo quella bocca. E non si tratta di materiale buttato dentro casualmente, come può verificarsi in una miniera temporaneamente chiusa, come quando qualcuno che vede una pietra e che la butta dentro. Qui si tratta di TIR carichi di materiale che poi hanno buttato dentro appositamente per seppellire e nascondere un qualcosa».
Nel 2003, al termine di una riunione dei ministri del Governo Berlusconi, emerse l’indicazione che Pasquasia potrebbe essere uno dei 20 siti nazionali individuati dal governo.
La possibilità che dal 2010 a Pasquasia finirebbe anche le scorie HLM di terza generazione, la cui radioattività decade nel corso di migliaia di anni, viene sostenuta ancora nel dicembre del 2007 dal giornale “l’Ora Siciliana”, che in un'inchiesta condotta dal suo direttore, Angelo Severino, cita anche dell'esistenza di documenti che lo dimostrerebbero.
In tempi recenti, si è prepotentemente tornati a parlare e ad operare per la messa in sicurezza dell’impianto e per la completa bonifica dell’area. In tal senso, la Regione Siciliana ha previsto uno stanziamento complessivo di 26 milioni di euro e la stessa Italkali si è resa disponibile alla riapertura della miniera ed al riavvio dell’attività estrattiva, per la produzione di magnesio metallico.
Secondo Giuseppe Regalbuto, presidente della Commissione speciale miniere dismesse dell’Unione regionale province siciliane, “riaprire il dibattito sui nostri siti minerari fa sì che in prospettiva della riapertura delle centrali nucleari si scongiuri il ricorso alle nostre miniere come luoghi dove smaltire le scorie”.  
Al momento, sono state essenzialmente avviate attività di controllo e monitoraggio.
In particolare, dei lavori di messa in sicurezza d’emergenza e del monitoraggio ambientale, affidati “senza gara” alla Sidercem s.r.l. di Caltanissetta, azienda di famiglia dell’assessore regionale alle attività produttive, Marco Venturi, si sono ultimamente occupate alcune testate giornalistiche ed in particolare Sud (http://www.sudpress.it) e LiveSicilia (http://www.livesicilia.it).

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