L’operazione antimafia
“Beta” del Ros dei carabinieri ha scoperchiato l’operatività nel
capoluogo peloritano di una cellula di cosa nostra catanese, diretta emanazione
della più nota famiglia mafiosa dei Santapaola e sovraordinata rispetto ai clan
che tradizionalmente operano nei quartieri cittadini
L’operazione condotta dal Ros dei carabinieri e dal Comando
Provinciale di Messina nelle provincie di Messina, Catania, Siracusa, Milano e
Torino ha portato all’arresto di 30 soggetti, gravemente indiziati, a vario
titolo, di associazione di tipo mafioso, concorso esterno in associazione di
tipo mafioso, estorsione, corruzione, trasferimento fraudolento di valori,
turbata libertà degli incanti, esercizio abusivo dell’attività di giochi e
scommesse, riciclaggio, reati in materia di armi ed altro.
L’indagine, avviata nel 2013, riscontrando quanto già
riferito da alcuni collaboratori di giustizia, coinvolge esponenti della
società che conta: professionisti, l’ex presidente dei costruttori di Messina,
imprenditori, titolari di società, funzionari del Comune: tutti connessi da un
disegno di gestione di interessi economici illeciti contrassegnati da
riservatezza e reciproca affidabilità.
Gruppo legato ai Santapaola
Il capoluogo di quella che storicamente era sempre stata
definita la provincia “babba” ovvero tranquilla (che poi babba non lo è mai
stata visti i sangunari e stragisti precedenti delle cosche dei barcellonesi e dei tortoriciani attivi nella zona tirrenica, ndr), era divenuta il
centro delle attività e dei loschi affari di una “Entità” criminale partorita
da Cosa nostra catanese, in quanto gestita da soggetti appartenenti ai
Santapaoliani, Francesco e Vincenzo Romeo, il cognato ed il nipote del boss
Nitto Santapaola, perché rispettivamente marito e figlio della sorella Concetta
Santapaola.
Il sodalizio criminale, volutamente distante dalle bande
armate locali (Mangialupi, Giostra, ecc., ndr) alle quali era
addirittura sovraordinata, a tal punto che gli esponenti di queste ultime, ogni
qualvolta si imbattevano negli interessi della predetta associazione si arrestavano,
obbedendo, era collocato all’interno dell’economia reale e delle relazioni
socioeconomiche, con agganci in ogni settore della società che conta.
Mafiosi imprenditori
Una entità, secondo gli investigatori, capace di teorizzare
– come emerge dalle intercettazioni – l’abbandono delle forme criminali
violente e del rituale mafioso per gestire società di servizi, controllare in
modo diretto appalti su scala nazionale (emergono interessi sulla autostrada
SA-RC ed Expo), gestire il gioco illegale e le scommesse della massima serie
calcistica, operare attraverso la corruzione e il clientelismo il controllo
sull’attività di enti pubblici, attivare informatori e complici presso uffici
pubblici (anche presso organi di polizia e uffici della procura). Una struttura
criminale che ha sostituito i manager ai padrini e che opera per il profitto
col “concorso esterno” delle squadre che sparano: così rovesciando il
tradizionale rapporto dei ruoli tra società bene e società violenta rispetto al
conseguimento degli scopi associativi mafiosi.
Risulta inoltre singolare la sostituzione del pizzo con
altre forme di intervento economico, grazie anche a società che forniscono
servizi alle imprese (come le cooperative nel settore dalle forniture
alimentari) ovvero gestiscono in subappalto la fornitura di prodotti
parasanitari per conto delle ASL.
Le attività investigative (in particolare i servizi tecnici)
hanno consentito di ricostruire le dinamiche associative del gruppo criminal e
il ruolo di vertice rivestito da Vincenzo Romeo, sotto la supervisione del
padre, Francesco, con la collaborazione dei fratelli, Pasquale, Benedetto e Gianluca.
I rapporti con l’articolazione territoriale di cosa nostra catanese sono
risultati solidi e perfettamente funzionali alle esigenze dell’associazione,
come quando Vincenzo Romeo dovette farsi carico del finanziamento economico dei
sodali catanesi dopo il sequestro, nel 2014, per un valore di oltre 10 milioni
di euro che ha riguardato la ditta “Geotrans s.r.l.”, operante nel settore dei
trasporti e della logistica nei confronti dei fratelli Vincenzo Ercolano e
Cosima Palma, eredi di Giuseppe Ercolano, quest’ultimo esponente di vertice
della famiglia di Catania, vivendo quel frangente come una messa alla prova
delle proprie capacità di gestione economico-criminali.
Legata alle
tradizioni
L’attività investigativa ha restituito l’immagine di
un’entità criminale ancorata alle tradizioni mafiose: Vincenzo Romeo, nel corso
di un’intercettazione ambientale, narrava di aver ripreso un giovane di
Barcellona Pozzo di Gotto (ME) che si era relazionato con lui senza rispettare
la riservatezza e la “presentazione rituale” di “cosa nostra”.
“No, io sono di Barcellona, tu non sei Enzo?”
“Chi cazzo sei tu?”
“Noi ci siamo conosciuti con Tizio, Caio, Sempronio…”
“Ah, va bene non nominare più nessuno per favore!!”.
Ma moderna
Un’entità, al tempo stesso, moderna e capace di agire in
maniera quasi silente, limitando al massimo il ricorso ai tradizionali “reati
di visibilità”, tipici dell’associazione mafiosa.
Era, in questo caso, Stefano Barbera, a spiegare al proprio
interlocutore l’ordine imposto dalla “cosa nostra messinese”: “fanno,
costruiscono, sistemano, cercano di fare attività … hanno eliminato del tutto
il pizzo… il primo che chiede il pizzo lo ammazzano loro … perché dice ci
stiamo rovinando da soli … non esiste più l’antica … addio pizzo… sarà qualche
clan a Palermo, ma qua non esiste più le posso garantire che non esiste più …”.
Preferivano proiettare i propri interessi in diversi settori
dell’imprenditoria, che non si è limitata a sfruttare parassitariamente, ma che
ha pesantemente infiltrato e finanziato. Il tutto grazie ad una non comune
capacità di interlocuzione con professionisti ed ambienti istituzionali, in un
percorso trasversale in cui il ricorso alla violenza è rimasto sullo sfondo,
limitato ai momenti di particolare criticità e nei rapporti con i clan di
quartiere.
Giochi, scommesse
clandestine, edilizia
L’attività investigativa ha permesso di ricostruire gli
interessi del sodalizio in alcuni importanti settori, in particolare: quello
degli apparecchi da intrattenimento e dell’online gaming, vero e proprio
business su cui si stanno concentrando gli appetiti di diverse organizzazioni
criminali a livello nazionale. Sono stati, infatti, accertati i cospicui
interessi della compagine indagata nella gestione di centri scommesse e nella
distribuzione di macchinette video-poker in provincia di Messina attraverso le
società “Start S.r.l.”, “Win play soc.coop.” e “Bet srl”. Dal complesso delle
acquisizioni è emersa, ancora, l’influenza di Vincenzo Romeo sulla Primal
s.r.l., società titolare di una concessione con diritti su 24 sale e 71 corner
ed è stato proprio Romeo, nel corso di alcune intercettazioni ambientali, a
spiegare di aver preso parte a Roma ad un incontro con i finanziatori di detta
società e che nell’occasione sarebbero stati presenti numerosi rappresentanti
di diverse “famiglie” della Sacra Corona Unita e della ‘Ndrangheta, i quali avrebbero
riconosciuto a Romeo il suo ruolo.
Le indagini hanno permesso di documentare l’interesse del
gruppo nell’organizzazione di corse clandestine di cavalli, tenute solitamente
alle prime luci dell’alba lungo alcune vie cittadine, con contestuale raccolta
di scommesse, e la somministrazione agli animali di farmaci per aumentarne le
prestazioni.
L’“Entità”, inoltre, era direttamente interessata al settore
immobiliare e dei lavori edili in genere, gestendo in proprio gli appalti e non
per lucrare il pizzo o per ottenere lavori secondari, come accade normalmente
per le compagini mafiose.
I rapporti con la ‘ndrangheta
Vincenzo Romeo interveniva personalmente per tutelare i
propri interessi determinando qualificate cointeressenze con esponenti della
‘ndrangheta, rendendosi protagonista di un’interlocuzione con esponenti della
cosca dei Barbaro di Platì (RC) per definire la “messa a posto” delle società
messinesi “Demoter S.p.a.”, riconducibile all’ex presidente dell’Ance di
Messina Carlo Borella e “Cubo S.p.a.”, che – essendo state finanziate dalla
entità mafiosa– si erano avvicendate nei lavori di realizzazione e parziale
adeguamento della “S.S. 112 Dir. SGC Bovalino – Platì – Zillastro – Bagnara”.
Il dato è emerso, ancora una volta, dalla narrazione
autentica di Vincenzo, che nel sottolineare di aver investito nelle attività
del Borella cospicue somme di denaro, ha chiarito di aver fatto valere il
proprio lignaggio mafioso per mitigare le pretese dei calabresi per i lavori
svolti in Calabria dalla Cubo S.p.a.
L’indagine ha, inoltre, evidenziato l’interesse dei sodali
verso i più rilevanti appalti pubblici e privati del capoluogo messinese,
realizzato anche tramite l’imposizione di forniture e manodopera. Un episodio,
in particolare, ha messo in luce le ingerenze della compagine criminale nella
procedura di acquisto di immobili, da adibire ad alloggi popolari, deliberato
dal comune di Messina – dopo un episodio di corruzione – ai fini del
risanamento dell’area cittadina denominata “Fondo Fucile” ed ha fatto emergere
l’inquietante rapporto collusivo con alcuni esponenti dell’Ufficio Urbanistica
dell’amministrazione locale, funzionale all’aggiudicazione dell’appalto, al
quale non si è data esecuzione per rinuncia degli stessi indagati che, in corso
d’opera, hanno ritenuto economicamente più vantaggioso alienare gli immobili
sul libero mercato.
Colletti bianchi e
riciclaggio
Gli elementi raccolti nel corso dell’indagine hanno condotto
alla contestazione del reato di concorso esterno in associazione mafiosa a
carico dell’avv. Andrea Lo Castro, che avrebbe messo a disposizione del
sodalizio le proprie competenze professionali per consentire il riciclaggio di
denaro proveniente da reati, la falsa intestazione di beni e l’elaborazione di
strategie per la sottrazione, in frode ai creditori, della garanzia
patrimoniale sulle obbligazioni, prestandosi in prima persona anche a fungere
da prestanome per l’intestazione di beni.
Dalle intercettazioni è emersa, inoltre, la disponibilità di
armi in capo al gruppo e l’esistenza di collusioni con esponenti delle
istituzioni finalizzati ad ottenere notizie su eventuali indagini in corso.
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